A NATALE NASCITA E RINASCITA

di Roberta Tazzioli – La Monda

Dipinto realizzato da una ospite presso la realtà di Socioterapia ‘La Monda’

Ce lo ricorderemo, il Natale 2020.

La nostra Comunità ha dovuto vivere l’interruzione dei rapporti con l’esterno, comprese le famiglie, gli amici, le persone care. Abbiamo trovato risorse ed energie nascoste, e davvero abbiamo sprigionato tutto il calore di cui eravamo capaci.

Come sempre, il vuoto in cui ci sembrava di essere immersi si è rivelato capace di ospitare nuova vita, e abbiamo potuto celebrare un Natale molto sentito. Ci siamo percepiti tutti insieme, stretti (ma non ristretti) nella vita affettiva della Comunità.

Il ricordo di tutto questo si riverbera in quest’anno 2021. Ora per fortuna si possono di nuovo progettare visite, feste, pranzi fra parenti e amici; possiamo tornare alle nostre tradizioni, che non daremo più per scontate. E così abbiamo potuto guardare con occhi nuovi il Natale e il suo dono, IL DONO DELLA RINASCITA.

L’Albero di Natale celebra l’Albero della Vita, con le sue forze sempre rinnovate ; nella profondità dell’Inverno la vita si nasconde nella nostra Madre Terra, e si affida alle sue cure.  Alla Monda lavoriamo tutto l’anno nel vivaio, e abbiamo imparato quanta vita nasconde ogni piccolo seme. Sappiamo che proprio quando il paesaggio appare spoglio e grigio si prepara la rinascita del manto vegetale; fra le braccia della terra i semi sognano la primavera.

Da novembre a gennaio le nostre attività agricole sono in pausa, e ci dedichiamo con grande piacere a varie forme d’arte. Quest’anno in particolare abbiamo lavorato molto con la creta. E allora ci è venuto in mente di creare un simbolo della rinascita che vogliamo vivere nella nostra nuova festa di Natale.

Abbiamo creato semplici forme con la creta, decorate con l’oro in modo che possano ben figurare sul nostro Albero di Natale. In esse però abbiamo celato piccoli semi. Quando l’albero verrà spogliato prenderemo queste decorazioni e le metteremo in un vaso, le ricopriremo di terra, annaffieremo con cura e attenderemo fiduciosi; i semi daranno vita a germogli che crescendo porteranno fiori. Come vedete nelle foto abbiamo già fatto delle prove: FUNZIONA!

Ci auguriamo che questo Natale porti a tutti speranza e gioia.

Quando nascesti tu nacque un giardino

di Anibal Comparin – Casa Löic

Durante le settimane di Avvento di questo anno, abbiamo rivolto il nostro interesse al presepe e abbiamo visto che il primo presepe fu realizzato da San Francesco d’Assisi nel 1223. Per questo motivo abbiamo chiesto a Fabio, ospite del laboratorio di candele e appassionato della vita dei santi, di raccontarci la vita di San Francesco. Fabio ci ha raccontato che Francesco è nato ad Assisi nel 1182. Era figlio di un ricco mercante chiamato Pietro Bernardone e di una donna francese e in onore della Francia il padre decise di chiamare il figlio Francesco.

Da giovane faceva il cavaliere e partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, venne fatto prigioniero insieme ad alcuni suoi compagni e durante la prigionia si ammalò gravemente. Tornato ad Assisi decise di cambiare radicalmente e si dedicò ai poveri e al restauro di chiese in rovina.

Il padre lo diseredò e Francesco si spogliò di tutta la sua ricchezza dedicandosi solo ai poveri e ai malati. Nel 1219 fece un viaggio in Egitto e poi in Terra Santa. Al ritorno da questo viaggio realizzò il primo presepe a Greccio, mise al centro una mangiatoia, un bue e un asino vero, c’erano anche i pastori veri, abitanti del luogo e qui fece la celebrazione della Messa.

Dalla storia di San Francesco e dalla sua straordinaria intuizione di rappresentare la nascita di Gesù come era avvenuta a Betlemme, abbiamo pensato fosse bello fare dei presepi e mettere al centro il tema della nascita, raccontando anche ciascuno la propria.

Francesca King, del laboratorio di tessitura ci racconta così questa esperienza:

“Quest’ anno stiamo preparando il Natale in una maniera più originale. Stiamo raccontando tutti quanti come siamo nati, in tanto aspettiamo la nascita del bambino Gesù. Ogni laboratorio sta preparando un presepio diverso.

I giardinieri hanno presso un tronco del nostro bosco e hanno costruito una bellissima mangiatoia (presepio vuol dire a punto, “mangiatoia”) e tutti quanti prepariamo animali e personaggi da inserire all’interno.

I candelieri stanno realizzando presepini con i resti delle candele, sono veramente teneri e speciali.

I falegnami stanno producendo stelle di legno.

Infine, i tessitori, si sono dedicati in tanti modi alla realizzazione del presepe. Hanno cucito stelle di pannolenci. Hanno dipinto con l’acquarello e il sale le lune che appaiono come dei pianeti. Hanno dipinto stelle in omaggio agli amici del cielo e, ogni giorno, ne abbiamo appesa una, dedicando un pensiero ad una persona speciale.”

Nel cielo del nostro presepe, per esempio, c’è la stella di Vit, di Ingrid, la stella dello zio (di Francesca King che è venuto a mancare pochi mesi fa). Abbiamo pensato di appendere una stella per tutti i nostri cari.

Abbiamo iniziato anche a preparare un presepe con la lana cardata, simile a quello che abbiamo realizzato due anni fa e con il quale abbiamo vinto il concorso nel nostro paese, a Capena. Quest’ultimo, in particolare, è magico perchè il cielo, per come è realizzato, assomiglia alla famosa ‘Notte Stellata’ del celebre pittore Van Gogh.

In questo speciale presepe vi è una grotta nella quale Maria, Giuseppe, l’asinello e il bue stanno aspettando la nascita di Gesù bambino, il calore della famiglia che è in attesa della Nascita.

Proprio come questa immagine, anche noi, della comunità di Casa Löic, stiamo attendendo con la stessa intensità questa nascita, con l’augurio che questo anno sia migliore e che ci porti tanto affetto e tanto amore per tutti.

Ecco a voi alcuni dei racconti che ciascuno ha condiviso a tutto il gruppo:

“Racconto la mia nascita: mi chiamo Francesca King, sono nata il 27 maggio del 1972. Sono nata di domenica mattina, presto e c’era il sole di primavera. L’ospedale dove sono nata si chiama Policlinico Umberto I, a Roma. Nell’ospedale c’era la mia famiglia: papà Jonni, mamma Gabriela, nonna Andreina, zia Fiamma e altri parenti. Sono la prima figlia e non ho fratelli e sorelle. Quando ero piccola ero molto vivace, solare e giocavo molto; adesso che sono cresciuta, grazie all’affetto dei miei genitori, sono forte e ho tanto amore da regalare.”

“Simone Cipollini, racconto la mia nascita. Sono nato il 30 aprile 1996 e se non si sbrigavano a tirarmi fuori non sarei nato e non sarei qui. Mi hanno tirato fuori come un sacco di patate, non so dire in quale ospedale. Ero con mia madre e c’era anche mio padre; sono figlio unico e con me nella pancia di mamma non c’era nessuno. Dalla ecografia hanno capito subito che ero un ‘maschione’.”

“Anibal Comparin, sono nato il 17 maggio 1964 in Argentina. Sono nato alla casa dei miei nonni. Era una casa grande in piena campagna, simile a un vecchio casolare. La casa aveva 3 grande stanze e in quella centrale sono nato io. Era la stanza più bella, piena di quadri, con le foto dei nonni e di molti miei zii, perché mia nonna aveva 11 figli. La casa dei miei nonni era piena di alberi grandi, che in primavera fiorivano e facevano un tappeto di fiori per terra, c’erano anche molti alberi da frutta e animali: galline, cavalli, muche, pecore, asini, maiali. Sono nato assistito da una signora anziana che aiutava le mamme a far nascere i bambini.”

Ci sono stati diversi altri racconti di nascite tutti molto speciali e con tanti particolari, belli e straordinari come ognuno di noi è (Roberta, Chiara, Barbara, Lucia, Aurora, Angela).

Il racconto delle nascite è stato ricco e molto importante perchè ci ha aiutato a sciogliere dei nodi difficili e nascosti, regalandoci emozioni e sentimenti forti. È stato bello ascoltare ma anche vedere il modo originale di come alcuni hanno rappresentato la propria nascita, attraverso la realizzazione di sculture, pitture o racconti.

Possiamo affermare che ognuno di noi è un fiore, qualcuno è un fiore aperto, qualcuno è un fiore chiuso ma che sboccerà con il tempo e tutti quanti siamo un giardino profumato e particolare.

Il nostro lavoro quotidiano è stato accompagnato dalla lettura della nascita di Gesù secondo il Vangelo di Luca, che la racconta con queste parole:

“In quel tempo l’Imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di tutti gli abitanti dell’Impero Romano. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era imperatore di Siria.
Tutti andavano a far scrivere il loro nome nei registri, e ciascuno nel proprio luogo di origine. Anche Giuseppe partì da Nazareth, in Galilea, e salì a Betlemme, la città del re Davide, in Giudea. Andò là perché era discendente diretto del re Davide, e Maria sua sposa, che era incinta, andò con lui.
Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire, ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto”.

Per concludere abbiamo vissuto l’esperienza della spirale d’ Avvento; ognuno di noi l’ha percorsa e ha lasciato la propria luce in un punto del percorso.

Salutiamo tutti con le parole e la preghiera di Rudolf Steiner:

“Il Bambino Gesù nella sua innocenza è l’intimo essere dell’anima umana stessa, forte, innocente, piena di pace, che ci guida lungo il sentiero della nostra vita fino alle più alte mete della nostra esistenza.”

“Anima umana, quando sei debole, quando credi di non poter trovare le mete della tua esistenza pensa all’origine divina dell’uomo e sii consapevole che queste forze sono dentro di te e che sono anche le forze del massimo amore. Nel loro massimo sviluppo, scorgerai in te le forze che danno fiducia e certezza a tutto il tuo agire per tutta la tua vita, ora e nel più lontano futuro.”

Il coraggio esoterico per un agire rigenerante sull’umanità. L’agire del cuore.

di Anibal Comparin – Casa Loïc

Siamo in un momento nel quale tutti noi siamo chiamati, sollecitati a decidere, a fare scelte per noi stessi o per le persone a noi care, o per quanti si sono affidate alle nostre cure. Ognuno sa le difficoltà e le lotte interiori e anche quelle esteriori che per questo deve affrontare. Il rischio potrebbe essere quello di agire a volte di impulso, a volte per “reazione”, o per costrizione, o anche agire solo di testa, o per paura, paura non solo della malattia, della pandemia in corso ma anche oggi molto forte, paura di perdere il lavoro, di non avere più i mezzi per andare incontro alle proprie necessità ed esigenze economiche. Viviamo senza dubbi un momento di grandi minacce,
personalmente sono del parere che in questo momento ci sia come un “assalto alla dignità di ogni individuo”.
Sono allo stesso tempo certo che non sia questa la prima volta che l’umanità sia di fronte a tali questioni. L’umanità ha attraversato più volte nella storia momenti, periodi, anche lunghi di pandemia, di carestia, di guerre, di costrizioni e tirannie, di schiavitù, di abusi, di sopraffazioni e di minacce di ogni genere. Per questo sono altrettanto certo che in noi vive la capacità e la forza per superare quanto oggi viviamo.

La nascita della pedagogia curativa stessa e dei diversi centri è stata segnata da vicende come la questione sociale con la violenza di carattere razzista; la pubblicazione di leggi che prevedevano la sterilizzazione forzata delle persone affette da debolezza mentale innata; la decimazione sistematica di tutti coloro che hanno un deficit di prestazione o problemi nell’integrazione sociale. Peter Selg nel libro su Ita Wegman, Resistenza spirituale e superamento, scrive:

quando il nazionalsocialismo aveva presso il potere in Germania, Ita Wegman era costantemente preoccupata soprattutto per il futuro dei bambini, dei giovani e degli adulti “handicappati” bisognosi di cure animiche e con ciò anche dello stato e delle prospettive e degli Istituti di pedagogia curativa collegati a lei diretta o indirettamente. […] Nel corso del 1933, ita Wegman divenne sempre più consapevole dell’urgenza straordinaria richiesta dai tempi. Parlò di una attività febbrile prima che si verificassi la grande catastrofe, poiché nel mondo le cose stanno andando molto male.” e ancora, “é come se gli uomini fossero diventati più lenti e paurosi.[1]

In una conferenza, forse la sua ultima, Marcus Fingerle parlando della speranza, diceva:

“la speranza è la capacità di vedere ciò che nessuno vede, di vedere ciò che non è immediatamente visibile, vedere oltre. Dovremmo imparare a guardare la realtà non in senso letterale ma in senso simbolico. Questo è il grande passaggio nella biografia di un essere umano. Vedere le cose in senso letterale vuol dire rimanere abbracciati all’apparenza, a ciò che appare, come le cose vengono viste dalla maggior parte delle persone, come le cose vengono pensate e considerate per lo più, come le cose vengono interpretate dalla maggior parte: questo è il modo letterale secondo il “si pensa, si dice”. Così rimaniamo prigionieri. Considerare la realtà in senso letterale è anche cercare nella realtà la soddisfazione dei nostri desideri, ma anche delle nostre aspirazioni, dei nostri aneliti. Ora la realtà mai potrà soddisfarci, mai soddisferà i nostri aneliti, le nostre aspirazioni. La realtà ci delude sempre. Ma si può considerare la realtà, come diceva Ghoethe, come un simbolo. “Tutto ciò che diviene è un simbolo”. Allora io vedo in ogni cosa qualche altra cosa.”[2]

Giuseppe Leonelli, da parte sua, ritiene che “per salire nella conoscenza soprasensibile si richiede la capacità di discendere nell’interiorità dell’uomo, di afferrare la vita interiore.[3] Afferrare la propria vita interiore è la possibilità di afferrare il nostro essere spirituale, il nostro essere individuale, che ha in se le capacità
e le forze per affrontare le difficoltà di ogni tempo.

Martin Dietz, nel libro che ripropone la conferenza di R. Steiner, Che cosa fa l’Angelo nel nostro corpo astrale?, si domanda “da dove provengono le forze che ci fanno crescere oltre noi stessi?” e risponde, “devo rafforzare la mia capacità di sviluppo interiore, non per diventare sovraumano, ma per arrivare a me stesso, per essere me
stesso. Il tema è proprio lo sviluppo. Si tratta di andare verso noi stessi, verso il nostro vero io.”[4]

La domanda successiva potrebbe essere, perché non arriviamo a noi stessi, al nostro essere profondo, vero?

Qui troviamo le parole di R. Steiner nella decima conferenza di pedagogia curativa, che dice: “in generale gli uomini non riescono a ottenere nulla perché non hanno mai reso vivente una verità. Essa consiste nell’immedesimarsi alla sera nella coscienza in me è Dio o lo spirito divino, e questo non solo in teoria, non solo come parole vane, come le meditazioni della maggior parte delle persone, illuminando poi al mattino la giornata intera con la coscienza io sono in Dio. […] il punto alla sera non viene all’esterno, ma solo al mattino.”
Si tratta, dunque, di “rendere vivente in se stessi in modo serio una verità”. Non dice che questa verità sia “vitale” per la nostra vita, per il nostro esistere. Vitale è il cibo, l’acqua, l’area che respiriamo, ma vivente. Viventi sono le piante, gli animali, no siamo esseri viventi, e così cosa vuol dire rendere vivente una verità? Significa illuminare il nostro essere, illuminare la nostra coscienza, questo non avviene improvvisamente, immediatamente, “avviene al mattino”. Occorre passare la notte, aspettare il mattino.

La coscienza illuminata è la coscienza della dignità umana e il discorso della dignità dell’uomo è un discorso che ci porta indietro nel tempo, più precisamente a un discorso preparato dal giovane Piccolo della Mirandola per un congresso, purtroppo mai realizzato, previsto per il 1487, dal titolo “Della dignità dell’uomo”. Questa dignità
risiede nella “libertà” dell’uomo, per mezzo di questa libertà, l’uomo diviene colui che completa il mondo attraverso le azioni che può compiere. Dio ha dotato l’uomo di una volontà libera, gli ha donato la possibilità di prendere le proprie decisioni. “Tu puoi snaturarti verso il basso, verso l’animale, e tu puoi invece nuovamente risuscitare seguendo la tua propria volontà verso l’alto.” Sulla base di questa coscienza la vita futura dell’uomo si potrà esprimere secondo tre impulsi: quelli della fratellanza. La fratellanza intesa come atteggiamento sociale profondo in cui “nessun uomo deve rimanere in pace tranquillamente se un altro sta male”, “nessun uomo potrà godere in pace la felicità se altri uomini saranno infelici accanto a lui”. Solo questo potrà portare la più assoluta unificazione del genere umano. Il secondo impulso riguarderà il “riconoscimento in ciascun uomo dell’immagine
della divinità”. “L’incontro di ogni uomo con un altro uomo sarà di per se stesso un atto religioso.”
Il terzo impulso riguarderà “la piena libertà religiosa per l’anima. Giungere attraverso
il pensiero, all’esperienza dello spirito.”[5]


NOTE

[1] Peter Selg, Resistenza spirituale e supermento, Ita Wegman 1933-1935, Aedel Edizioni, Torino, 2011, p. 34-40, 41, 45.

[2] Marcus Fingerle, “Angoscia, paure e speranza. Come proteggere dalle nostre paure le forze di speranza del bambino ”

[3] Giuseppe  Leonelli, L’arcangelo Michele, p. 10.

[4] Martin Dietz, “Che cosa fa l’angelo nel nostro corpo astrale?”, Torcegno 11-13 luglio 2008, p. 15.

[5] Martin Dietz, op.cit. pp. 40; 42; 47; 55.


Bibliografia

Peter Selg, Resistenza spirituale e superamento, Aedel Edizioni, 2011, Torino.

Giuseppe Leonelli, L’Arcangelo Michele, Aedel Eizioni, 2015, Torino.

Rudolf Steiner, Corso di Pedagogia Curativa, Editrice Antroposofica, 1997, Milano.

Karl-Martin Dietz, “Che cosa fa l’angelo nel nostro corpo astrale”, Editrice Novalis, 2015, Milano.

Marcus Fingerle, “Angoscia, paure e speranza. Come proteggere dalle nostre paure le forze di speranza del bambino”, Conferenza tenuta a Rovereto, 4 giugno 2021.

Angoscia, paure e speranza. Come proteggere dalle nostre paure le forze di speranza del bambino

di Marcus Fingerle

4 Giugno 2021, Rovereto

Non mi sento di poter dire niente di generale e men che meno niente di definitivo, perché abbiamo molto da dire su questo argomento e abbiamo aperto anche un campo di ricerche.

Recentemente mi sono incontrato con circa 50 colleghi (medici, pedagogisti, e comunque persone che hanno a che fare con l’infanzia e l’adolescenza) in un seminario, e ci eravamo proposti di riflettere e mettere in comune tutte le esperienze per poter avviare una riflessione su quello che sta succedendo, ai bambini e agli adolescenti. E quello che è emerso, ad una prima raccolta di questo nostro incontro, è stato questo: che i bambini hanno saputo affrontare meglio questo periodo degli adolescenti. Il che dovrebbe farci riflettere. Il mio studio – io mi occupo di pedagogia curativa – si è riempito, in questo anno e qualcosa, soprattutto di adolescenti. Seguo adesso più adolescenti che bambini, mentre prima era il contrario. Io direi quasi esclusivamente adesso di adolescenti che sono stati sopraffatti da tutto ciò che li ha attorniati in questo periodo, o la famiglia ( in linea generale, poi vediamo). Dunque questo potrebbe indurci ad una prima riflessione provvisoria o a un primo pensiero, provvisorio ancora, però, credo, fecondo: che i bambini sono più vicini al mondo spirituale di quanto non lo siano gli adolescenti. E, mi spiace dirlo (forse esclusi i presenti), anche gli adulti sono molto più lontani dal mondo spirituale di quanto li siano i bambini. E i bambini, nel periodo del cosiddetto lockdown, hanno sofferto, hanno avuto paura – e così cominciamo ad affrontare il nostro tema – che i genitori potessero morire, che i nonni potessero morire, etc. Vale a dire che dal mio piccolo osservatorio – perché è un piccolissimo studio (però, sapete, a volte il microcosmo serve al macrocosmo: forse un piccolissimo studio può dare delle indicazioni)-, e devo dire che quasi sempre i bambini così angosciati avevano genitori o nonni angosciati. Il che significa che i bambini, quando non hanno affrontato questo periodo di due mesi, di quarantene, quando si sono angosciati era perché assorbivano l’angoscia degli adulti. E i bambini, lo sappiamo, hanno una capacità di percezione dei pensieri e dei sentimenti altrui maggiore rispetto a un adulto, e anche rispetto ad un adolescente, perché i sensi superiori dice Rudolf Steiner sono molto aperti. I sensi superiori sono i sensi sociali; dunque è chiaro che il bambino è in stretta relazione con l’adulto. Alcuni bambini dicevano “Come mai questo’anno le vacanze di carnevale sono così lunghe? – e si riferivano all’anno prima, quando il lockdown non si sapeva neanche cosa fosse-. I bambini erano contenti di non andare a scuola, dicevano “Che meraviglia, si può stare a casa, si può giocare, si può andare in giardino” (chi aveva il giardino). Per alcuni bambini è stato un buon periodo, erano contenti; salvo quelli che erano attorniati da adulti che provavano delle forti angosce o paure. Poi vedremo la differenza: sarà proprio il nostro tema.

Allora ho pensato bene di cominciare questa sera parlando di noi adulti. Perché da lì dobbiamo cominciare.

Adesso, io non voglio entrare nella questione di come è stata gestita questa pandemia, questo è un altro tema. Diciamo comunque che abbiamo avuto a che fare con un’influenza di un certo tipo, piuttosto importante, che ha falcidiato anziani. Per varie ragioni naturalmente, perché proprio gli anziani. la condizione sociale degli anziani, la medicalizzazione degli anziani, però ci porterebbe lontano da questo tema. Però è così: io vorrei partire dal dato fenomenologia. È così.

Come è stata gestita non la voglio commentare. È andata così. In ogni modo si è diffuso un senso di generale angoscia: questo è un dato di fatto.

Adesso la domanda è: che differenza c’è tra l’angoscia e la paura? E che cos’è l’angoscia è un tema filosofico, però non lo possiamo lasciare ai filosofi, non lo possiamo lasciare agli accademici, non lo possiamo lasciare all’università (corsi, conferenze su questo tema): dobbiamo portare la filosofia nella nostra vita quotidiana. La filosofia, l’antroposofia, deve diventare un modo di vivere, altrimenti è pura accademia e lascia il tempo che trova (con tutto il rispetto per chi fa accademia con grande qualità e grande spessore). Però a mio avviso, come diceva Pierre Hadot: se la filosofia non diventa un modo di vivere, la filosofia sostanzialmente perde il suo originario significato. Perché così è nata: come un modo di vivere.

Allora Kierkegaard fu il primo a fare un distinguo tra angoscia e paura: cerchiamo di capire che cosa dice Kierkegaard pe vedere quanto ci può essere utile nella nostra vita quotidiana, quanto la comprensione di questo tema può farci più attenti a ciò che ci accade e grazie a questo può consentirci di proteggere di più i bambini. E del resto, di questo si parla. Allora, Kierkegaard, diciamo così, ricorre ad una grande immagine, un’immagine dell’Antico Testamento, della Genesi. L’immagine in cui ad un certo punto Adamo ed Eva nel paradiso terrestre si trovano  (Adamo in particolare) a sentire un comando: “Non mangiare dell’albero della conoscenza, del bene e del male”. Si dice che nell’antico Testamento, Adamo lì trasgredì questa voce, e mangiò. E quello fu il momento in cui peccò. E dal quel momento, dice Kierkegaard, il peccato è entrato nella storia e nella ??? L’interpretazione corretta è quella secondo la quale Adamo, invece di avere buone intenzioni, e cioè di seguire le parole, ebbe cattive intenzioni, e dunque trasgredì. “Ma” dice Kierkegaard “qui c’è qualcosa che non va”. Perché, prima di mangiare dall’albero della conoscenza, Adamo era innocente ed era anche totalmente ignaro della differenza tra il bene e il male perché non aveva mangiato dell’albero della conoscenza, era privo di conoscenza, non sapeva distinguere ancora tra bene e male. Dunque non poteva avere cattive intenzioni. È un’interpretazione erronea e anche non coglie la complessità. Cosa “comprende”, cosa avverte Adamo, cioè l’Uomo, cioè Noi? Avverte di avere una possibilità. Dio dice di non mangiare la mela, Adamo non comprende il significato delle parole, comprende soltanto che ha una possibilità: ha la possibilità di qualcosa, ha un potere. Può fare o non fare. Dunque voi capite che in quel momento Adamo si rende conto di essere libero, perché ha una possibilità. In quel momento perde l’innocenza. Cosa vuol dire perdere l’innocenza? Vuol dire perdere un rapporto di immediatezza col Tutto, sentirsi parte di Tutto, non sentirsi separati. Questo è. Il sentirsi nella grazia di Dio. Significa sentire che il proprio essere è come ricevuto in dono da Dio. Questa è la condizione del bambino piccolo,  è una condizione di grazia. Tant’è che verso il bambino piccolo noi abbiamo sempre molti riguardi. Sì, potremmo dire, perché è fragile, se non lo curiamo il bambino muore, queso è vero ma è come se il bambino avesse un’aurea intorno a sé, e dunque parla dell’innocenza del bambino. E infatti il bambino vive in questo stato di innocenza, è in uno stato adamitico. Questo stato di innocenza, ad un certo punto, l’essere umano lo perderà. È il momento in cui, dice Kuhlewind, l’attenzione del bambino da indivisa diventa un’attenzione divisa. Cosa vuol dire? Una parte dell’attenzione va verso di me, una parte dell’attenzione va verso il mondo (e questo lo separa dal mondo): a quel punto io mi rendo conto di “essere Dio”, cioè di avere delle possibilità, cioè di avere un potere: il potere di fare. Ma cosa fare? Soprattutto, l’essere umano si rende conto che ciò che è non esaurisce affatto la propria esperienza. Siamo molto di meno di quello che , permettetemi, veramente siamo. Siamo sempre molto di meno di quello che veramente siamo. Siamo esseri incompleti, siamo  – come dice Steiner all’inizio de La filosofia della libertà- esseri sempre nsoddisfatti. Perché? Perché a differenza di tutti gli altri esseri, minerali, vegetali e animali, siamo noi a determinare noi stessi. Siamo noi a fare noi stessi. Come diceva Kierkegaard: l’Uomo è il proprio stesso artefice. È l’artefice di se stesso. Non solo, ma l’Uomo si fa continuamente perché, come diceva Pindaro, “Diventa ciò che sei” e dunque sei veramente. Nel nostro presente, in questo momento ognuno di noi non è mai completamente se stesso, perché ancora deve farsi. E dunque Adamo, secondo Kierkegaard, proprio in quel momento, nel momento in cui Dio gli dice “Non mangiare dell’albero del bene e del male”, proprio in quel momento prova angoscia. E l’angoscia, dice Kierkegaard, è la vertigine della libertà. Una bella definizione: è la vertigine della libertà. Perché la libertà tutti la vogliamo, ma tutti la temiamo. La desideriamo ma la temiamo, la temiamo terribilmente così come la desideriamo ardentemente. E questo contrasto tra il desiderare ardentemente la libertà e il temere terribilmente la libertà, questo antipatia simpatica e simpatia antipatica è l’angoscia. Così la definisce Kierkegaard, questo contrasto. Questa è l’angoscia.

E l’angoscia è anticamera della libertà. E adesso viene il tema più interessante. Naturalmente Adamo, alle origini della storia… ma capite? Ognuno di noi ripercorre le origini della storia, e ogni volta che ci poniamo di fronte alla nostra vita con la consapevolezza che siamo noi a fare noi stessi, riproviamo questa angoscia, ogni volta noi la rincontriamo. E dunque si potrebbe dire che ci accompagna da Adamo in poi (Adamo è l’immagine dell’Uomo, di ognuno di noi) e ognuno di noi ha perso a un certo punto quell’innocenza dell’infanzia crescendo, diventando adulto. Dunque ognuno di noi ha un Paradiso terrestre alle spalle, di cui abbiamo a volte grande nostalgia. Lo ricerchiamo ovunque, illudendoci terribilmente a volte tragicamente di poterlo trovare di nuovo. Giustamente l’Antico testamento dice: l’Angelo era custode del Paradiso terrestre nel quale non si può più tornare: questo è molto importante. E invece noi abbiamo spesso nostalgia, e questa nostalgia ci inganna, ci porta a grandi illusioni. Dunque, cosa invita a fare Kierkegaard? Di considerare l’angoscia come un educatore, nel suo libro Il concetto dell’angoscia parla proprio di angoscia come educatrice. Cosa vuol dire? Questo adesso è molto importante.

Che se veramente voglia far sì che l’angoscia diventi l’anticamera della libertà dobbiamo essere in grado di stare nell’angoscia, reggere l’angoscia e non fuggire. Questa è la funzione educatrice dell’angoscia. L’angoscia può essere una grande educatrice. E invece dall’angoscia fuggiamo tutti i modi. È molto gravoso e impegnativo, richiede grande presenza a se stessi, richiede forza d’animo reggere l’angoscia. E devo dire che a me pare, salendo in groppa ai giganti, che l’epoca che stiamo attraversando è proprio un’epoca in cui ci viene chiesto questo. Se vogliamo viverla e attraversarla come posso dire… a testa alta, come diceva una delle mie allieve prima dell’interrogazione: “Vado a testa alta incontro al mio destino”, una frase ad effetto, però ha il suo fascino,  ha una sua verità. Questa capacità di mantenere, di reggere l’angoscia è la condizione grazie alla quale possiamo esercitare la libertà. Perché? Adesso viene un altro aspetto fondamentale: che cos’è la libertà? Spesso si pensa che la libertà sia il libero arbitrio, la libertà di scegliere tra A e B, ma questa non è la libertà. Perché A è no, e B è anche no. E dunque l’intelletto  mi presenta diverse possibilità. Non corro un grande rischio a scegliere A o B perché conosco sia A che B. In realtà non si tratta di una vera scelta libera perché ci sono sempre A o B, dunque in qualche modo tanto libero non è, è condizionata da ciò che so già. Ciò che so già è il passato, è già saputo. Scegliere ciò che so già è scegliere con qualche cosa che non ha a che fare con il futuro, ma in qualche modo è garantito da un passato. Non vado verso il futuro quando scelgo ciò che so già . È proprio quando l’atto, quando la possibilità che ho di fronte è una possibilità di cui io non conosco l’esito, quando ciò che io voglio non è già saputo ma è creato nello stesso momento in cui io agisco, allora l’atto libero è veramente libero perché è creativo. Il coraggio, diciamo così, di andare incontro al non saputo. Tutti i mistici ne parlano. L’atto libero è l’atto che ci mette di fronte al non saputo, a nulla di garantito. Ecco perché abbiamo parlato della vertigine: l’angoscia è la vertigine. Dobbiamo saper reggere quella vertigine nell’andare incontro a qualcosa che noi stessi non sappiamo con l’intelletto ma che crediamo nello stesso momento in cui noi ci facciamo, in cui noi agiamo. L’atto libero è un atto creativo, ma l’atto creativo comporta sempre questa vertigine. Quando reggiamo questa vertigine, quando siamo in grado di reggere il “Non sapere cosa ne sarà”, “Verso dove vado”. Noi viviamo in un mondo dove tutto è pianificato, tutto deve essere chiaramente pianificato, fino alla nausea: a scuola si pianifica tutto, tutto ??? Perché ci dà un senso di soffocamento questo? Perché non ci consente di essere creativi. Kuhlewind dice : cos’è l’atto creativo. È paragonabile all’improvvisazione di un musicista. Non so se avete mai sentito Keith Jarrett improvvisare, a volte faceva anche le voci mentre improvvisava, erano come delle emissioni sonore di gioia, perché quando noi creiamo siamo versante liberi e l’animo si riempie di gioia. È quasi incontenibile. Perché veramente abbiamo creato qualche cosa che non esisteva prima! Non che avevamo già pensato. Ma questa gioia si nutre di qualcosa che non sappiamo già, che non fa parte del passato, si nutre di qualche cosa che non possiamo vedere. Tutta la filosofia è una filosofia della visione. No. Ho sbagliato, una parte della filosofia lo è, e cioè di vedere con l’intelletto: la visione. Vedere in un certo senso e poter prevedere…capite? Invece qui si tratta di un sentire, di un pensiero che si pone non come un pensiero che riflette e dunque ,in un certo senso, vede, ma di un pensiero (come diceva Pascal, Steiner) del cuore, un pensiero che non vede, ma che sente, che intuisce. Dobbiamo imparare per poter via via nutrire questo pensiero, per poter maturare e crescere interiormente, per essere degni di un pensiero di questo genere, dobbiamo educare la nostra attenzione. Dobbiamo sempre più diventare sottili nella nostra attenzione. Kuhlewind dice di diventare padroni della nostra attenzione, che tende a vagare nei luoghi più balzani – il nostro pensiero può saltare da un luogo all’altro senza nessun criterio- , ma riuscire a educare l’attenzione ci rende degni di un pensiero del cuore, di un pensiero che vede l’invisibile o sente l’invisibile. È lì, è ciò che ancora non è visto ma viene presagito; e questo vedere l’invisibile è la speranza. La speranza è la capacità di vedere ciò che nessuno vede, di vedere ciò che non è immediatamente visibile, vedere oltre. Adesso, questo lo dice Panikkar, però io mi permetto di aggiungere questo pensiero: questo ci aiuterebbe veramente: dovremmo imparare a guardare la realtà non in senso letterale ma in senso simbolico. Questo è il grande passaggio nella biografia di un essere umano. Vedere le cose in senso letterale vuol dire rimanere abbarbicati a l’apparenza, a ciò che appare, come le cose vengono viste dalla maggior parte delle persone, come le cose vengono pensate e considerate per lo più, per cui le ??? vengono interpretate secondo il “Si pensa, si dice”. Così rimaniamo prigionieri. Tra l’altro considerando la realtà in senso letterale, è anche cercare nella realtà la soddisfazione dei nostri desideri, ma anche delle nostre aspirazioni, ma anche dei nostri aneliti. Ora, la realtà mai potrà soddisfarci; la realtà considerata in senso letterale mai soddisferà i nostri desideri, mai soddisferà le nostre aspirazioni, mai soddisferà i nostri aneliti. Diceva Steiner “Da sempre l’uomo ha pensato una società giusta”. Platone, la sua visione (condivisibile o non condivisibile), ???cosa mai è  diventata?  Vi sembra che dopo tanti, dopo due millenni, abbiamo realizzato??? Vi sembra che oggi gli uomini vivano secondo la verità? Oppure si disperdono ognuno nella sua ??? Senza nessun criterio, “la penso così e basta, perché sì, perché lo pensano gli altri”, eppure è da millenni che cerchiamo il bene.

L’etica nicomachea di Aristotele, l’etica di Spinoza… eppure? Sono state scritte pagine bellissime… eppure? Allora si potrebbe dire “Allora non ne vale la pena seguire questo ideale, vero bello e buono perché tanto…”: questa è un’indicazione. Ma è un’indicazione che nasce da una giusta osservazione: la realtà ci delude sempre. La realtà considerata in modo letterale. Ma si può vedere l’invisibile, si può andare al di là del visibile, si può considerare la realtà, come diceva Ghoethe “Alle Vergangliche Ist nur ein Gleichnis” “Tutto ciò che diviene è simbolico”. Allora io vedo in ogni cosa qualche altra cosa, che non è direttamente visibile. Vedo in ogni cosa qualche altra cosa. E forse non la vedo subito, però ho la fiducia che ogni cosa ha un altro significato, che trascende la cosa stessa. Ognuno di noi ha qualche epserienza a cui pensare a questo proposito.

Dunque, potete immaginare una relazione di coppia tra un uomo e una donna, tra marito e moglie: nessun moglie soddisfa tutti i desideri del marito e viceversa. Queso si sa, non c’è neanche da discutere su questo, va da sé. E allora bisogna imparare a vedere al di là, a riconoscere -capite? – la realtà simbolica, allora rappresenti qualcosa di più di ciò che sei letteralmente, dal punto di vista letterale. Ecco allora l’angoscia: quando siamo in grado di reggerla, quando non chiediamo alla realtà di riproporci il Paradiso terrestre, la piena soddisfazione di tutti i nostri desideri, tutte le nostre aspirazioni e tutti i nostri più alti aneliti, la realtà intesa in senso letterale. Se noi facciamo il lutto di questa aspettativa, quasi il lutto del Paradiso terrestre, allora accediamo, reggendo l’angoscia che ne consegue, accediamo alla possibilità di vedere l’invisibile, e cioè la speranza.

Altrimenti la speranza è semplicemente una consolazione (la speranza è l’ultima a morire), diventa una specie di consolazione giusto per non arrendersi. Ma la speranza è un’altra cosa, così come cerco adesso di caratterizzarla. È proprio un vedere, è un’esperienza, un vedere nel senso di vedere col cuore, non nel senso di vedere attraverso la riflessione.

Dunque se noi riusciamo a reggere l’angoscia, allora l’angoscia diventa appunto l’anticamera che ci apre nuovi orizzonti, ci apre il mondo, ci consente di varcare la soglia. L’angoscia è la porta stretta che, se da noi è sopportata, diventa la porta che ci consente di accedere a un nuovo modo di vedere la realtà,  e cioè a un modo simbolico come dice Ghoethe.

Ma adesso la domanda è: e se invece questo non accade? Allora poiché noi non reggiamo l’angoscia, ci fabbrichiamo delle paure. Perché dall’angoscia non ci possiamo difendere, dalla paura sì. Possiamo erigere muri per difenderci dalla paura. Perché l’angoscia è l’angoscia della libertà, e cioè di quel nulla che ancora non sono in grado di comprendere col mio intelletto, di quella possibilità a cui non posso far corrispondere una parte di meditazione??? E dunque, dall’angoscia non posso proteggermi. Allora l’umanità, noi, trasformiamo l’angoscia in paura. C’è un bellissimo libro di Jean Delumeau, “ La paura in occidente” del 1978, in cui lui scrive: “Lo spirito umano fabbrica in permanenza la paura per evitare l’angoscia. Si tratta di un processo che possiamo ritrovare al primo stadio di una civiltà. Mediante una lunga serie di traumi collettivi, l’Occidente ha vinto l’angoscia denominando, cioè identificando e perfino fabbricando paure particolari”. E poi più avanti scrive: “Gli uomini di chiesa sostituiscono  (si riferisce al medioevo dal 1300 al 1600) all’angoscia collettiva dovuta ad un accumulo di stress (si riferisce alla peste, alle carestie, alle guerre) la paura teologica di Satana e dei suoi agenti: gli ebrei, gli eretici, le donne (le streghe). E questi pericoli ben identificati presentano i vantaggi di poter essere combattuti e vinti come faceva sistematicamente l’Inquisizione. E così ci si libera per altre esecuzioni capitali che avvenivano in pubblico”. L’Europa moderna ha affrontato l’angoscia sostituendola con le paure teologiche. Quesa è la tesi di Delumeau.

Ora però, noi non viviamo nel Medioevo e neanche nel ‘600: allora, quali sono le paure che noi fabbrichiamo in sostituzione dell’angoscia? Quali sono le paure che adesso noi sostituiamo a quelle teologiche?

Noi viviamo in una società secolarizzata, non solo, viviamo in una società tecnocratica, non tecnologica: la tecnologia è una che una zappa,  una zappa è pur sempre uno strumento che faceva parte di una certa tecnologia di un certo tempo. Noi non viviamo in una società dove si usano strumenti, noi viviamo in una società in cui il potere è in mano alla tecnologia, dunque una società tecnocratica, in cui lo strumento non è più a servizio dell’uomo, ma è l’uomo al servizio dello strumento. Per esempio il fatto che vengano fabbricati aeroplani non significa che gli uomini non si possono servire degli aeroplani, cosa che effettivamente accade. Il fatto è che siamo costretti a utilizzare gli aeroplani perché oramai è dato per scontato che un manager possa attraversare da un continente all’altro altrimenti non è più un manger, cambia lavoro, deve usare quello strumento se vuole fare i soldi, è costretto perché ormai la scuola, gli ospedali e le città stesse sono ormai grandi macchine nel so insieme e noi siamo al servizio di queste macchine. E queste macchine decidono del nostro tempo, decidono dei nostri spostamenti, decidono di tutto ciò che facciamo. Crediamo di essere liberi, in realtà l’immagine del formicaio non è del tutto sbagliata. Siamo dunque in una società tecnocratica. Allora la domanda è: quali sono le paure che vengono fabbricate all’interno di una società tecnocratica? Come nasce questa società? Ovviamente è un tema di una tale vastità per cui permettetemi di “spigolare” tra le pagine; però proviamo un po’ a orientarci.

Da dove nasce, qual’è l’orizzonte di pensiero all’interno all’interno del quale nasce la società tecnocratica? L’orizzonte di pensiero è quello che nasce con Cartesio, il quale dice che la verità coincide con la chiarezza e la distinzione: idee chiare e distinte, vuol dire inequivocabili ma soprattutto ben definite. Per lui il modello della conoscenza era la matematica, la filosofia doveva essere una mathesis universalis, la matematica ha questo grado di esattezza. Vero è ciò che è esatto. Steiner fa un esempio bellissimo: se una mamma manda un bambino a comprare del pane e il bambino ha 10 soldi e un panino costa tre soldi, quanti panini può comprare? Facendo un calcolo esatto: tre panini. Però quel giorno c’era un’offerta??? Dunque era esatto, ma non li ha presi. Era così. Un esempio molto semplice: la realtà non sempre corrisponde a ciò che è esatto.

Perché a Cartesio interessava così tanto l’esattezza, cosa voleva combattere? Ciò che è esatto dà sicurezza. Forse dà certezza. Allora il modello della conoscenza oggi è la scienza che si propone come esatta. E la tecnologia si serve della scienza per giustificare se stessa. Come si fa a giustificare? Come noi abbiamo assistito, in questo anno la scena è stata dominata dalla scienza di cui si serve la tecnologia, di cui si serve la politica,  perchè si propone come esatta. Ma, come dice Steiner, l’esattezza non corrisponde alla realtà, però dà l’illusione di poter poggiare su un terreno sicuro. E, si potrebbe dire, chi non ha una grande fiducia nella ragione, allora cerca la sicurezza nel potere. Noi abbiamo due forme con cui oggi cerchiamo di fronteggiare l’angoscia: la conoscenza esatta ( e dunque la scienza) e il potere (l’unica forza ???). pensiamo all’imperialismo, alla prima guerra mondiale, follia pura: basta guardare un pochino ???, mancava completamente qualsiasi coscienza di ciò che si stava facendo. Solo che la società tecnocratica si fonda su questi due pilastri: il potere e la ricerca della sicurezza mediante il potere della certezza, genera dei valori. E quali sono questi valori? La capacità di controllo, il controllo è fondamentale. Dunque chi è in una scuola sa che qualsiasi cosa è controllata sempre di più. Per carità , ci sono insegnanti a cui va bene così. Adesso c’è un apparato burocratico tale per cui io alla fine dell’anno devo dire, scrivere e dichiarare su fogli (la qual cosa richiede un tempo notevole) da quando a quando ho svolto un certo argomento, dal giorno al tal giorno, cosa che non interessa a nessuno, non legge nessuno, ma se non lo faccio che cosa succede? Che non sono efficiente. Questo ha a che fare con la produttività di una prestazione, l’importante è la performance, non è importante se io svolgo bene o male, non importa se i ragazzi si annoiano a morte quando io parlo e non vedono l’ora che io smetta di parlare e che suoni la campanella: questo non importa. L’importante è che io sia efficiente. Così come non è importante che i ragazzi si appassionino a quello che io insegno, che veramente quello che insegno diventi utile per la loro vita, come diceva Pierre Hadot, che la filosofia diventi un luogo di vivere per loro. L’importante è che studino, ripetano quello che dico io, che ripetano quello che è scritto nel libro, che mostrino di essere efficienti e quando li si interroga siano pronti, e se non pronti, per il semplice fatto di non essere pronti dimostrano di non essere efficienti. Questo è il valore.

Dunque proprio questi rimedi all’angoscia – e questo è importante, così arriviamo all’adolescenza – rendono la paura del fallimento. Noi viviamo in una società dove la paura più grande è quella di fallire, di non essere al passo, di essere espulsi dal sistema, della marginalità, dell’esclusione, la paura di non contare. Oggi i ragazzi dicono “Sei sfigato”, oppure “Sei popolare”: beh, quando io ero ragazzo, l’idea di essere popolare, bah… ci interessa essere in un gruppo politico piuttosto che in un altro, adesso con voi vien fuori ??? Io credo di sì! Perché negli anni ’60 è successo qualcosa, si è aperto il cielo per noi… poi si è richiuso. Questo è quello che penso. Come ai primi del ‘900: lì si aperto il cielo. Certo è successo di tutto: spari, rapimenti ???. Oggi abbiamo i nani, l’ c’erano i giganti. Lì si è aperto il cielo. Ci sono dei momenti della storia in cui si apre il cielo. Vabbè.

Adesso, qual’è il punto? Il punto è che viviamo in una società nella quale la paura più grande è quella di non fare nulla. Perché i rimedi all’angoscia a loro volta provocano angoscia. E io ritengo che la pandemia e la gestione della pandemia abbiano messo in luce che questo sistema non funziona. La paura è a fior di pelle. Cerchiamo in qualche modo di nasconderla sono il tappeto, ma non ci riusciremo. E dunque questa pandemia non ha creato niente di nuovo, ha messo in luce ciò che c’era già.

E gli adolescenti ce lo mostrano: nella psichiatria il numero degli adolescenti è aumentato di un terzo; nel pronto soccorso dove i ragazzi arrivano perché si tagliano, fanno gesti autolesivi,  La ? È aumentata di un terzo.

Nel mio studio che è una piccolissima realtà arrivano sempre più ragazzi che mi dicono “Non ce la faccio più”. A fare cosa? A funzionare.  Devo fare questo, devo fare quello, devo andare a scuola, etc. “Non ce la faccio più a funzionare”.

E guardate che ormai non si potrà più fare nel futuro gli insegnanti senza essere anche terapeuti. La pedagogia e la pedagogia curativa non potranno più essere separate. Perché l’angoscia trasformata nelle diverse forme della paura ormai sta emergendo sempre di più. Dunque io credo che si sta annunciando qualche cosa, siamo chiamati a cambiare.

Intanto, dedicarci all’autoeducazione. Si potrebbe dire che il futuro – adesso lo dico in modo un po’ forse equivocabile, ma non importa – o è mistico o non è. Ma non nel senso del misticismo sentimentale, non è questo. Ma, o veramente sviluppiamo delle facoltà spirituali, realmente, attraverso la pratica quotidiana del nostro vivere, oppure rischiamo di essere inghiottiti, schiacciati dalla società tecnocratica.

Per concludere, vorrei dirvi ancora una cosa che ho osservato. E ho osservato questo: che i giovani, gli adolescenti che non ce la fanno, o che non ce l’hanno fatta, a reggere lo stress, l’angoscia, il distanziamento sociale, l’atomizzazione sociale che hanno vissuto in questo anno e qualcosa, ho notato delle costanti nelle loro biografie. E sono stati bambini e bambine che hanno fatto questo gesto di tirarsi indietro e lasciare spazio agli altri. Bambine molto spesso delicate, molto sensibili, che hanno sacrificato la loro volontà per lasciare spazio alla volontà dei genitori, dei fratelli, degli insegnanti e si sono così sempre più adattate all’ambiente sociale. Questi adolescenti che erano stati bambini e bambine così sono stati proprio travolti. Allora io penso che questo ci dovrebbe far riflettere sull’educazione dei bambini: cosa dobbiamo fare perché i bambini possano reggere poi da adolescenti l’angoscia della nostra tecnica? Cosa dobbiamo fare?

Allora, vorrei concludere con questa riflessione: questi bambini hanno bisogno che intorno gli adulti abbiamo una vera venerazione per la loro volontà individuale. E a questo punto devo dire che secondo Rudolf Steiner il bambino, l’essere umano, è libero da subito. L’atto incarnatorio è un atto volitivo, il bambino è già un essere libero. Certo, la sua libertà è molto circoscritta, molto limitata, non è padrone del suo corpo, deve sviluppare una serie di facoltà, va bene. Ma già il neonato ha una sua libertà.

Mi diceva una massaggiatrice di una clinica Antroposofica tedesca, che si era specializzata nel massaggio dei neonati: “ Io chiedo sempre il permesso prima di massaggiare, perché mi accorgo dove fa a loro piacere e dove no”. Capite? Emmi Pikler diceva che il bambino piccolo non andrebbe vestito come se fosse una bambola, ma bisognerebbe attendere il momento in cui acconsente la nostro movimento. Non so, gli vogliamo mettere una bella camicetta? Bisogna attendere che il bambino faccia un piccolo movimento e allora puoi mettergliela. Mi ricordo questa immagine di Emmi Pikler con un bambino che stava supino, voleva girarsi sul fasciato e ci provava. Faceva così col piede per girarsi finché a un certo punto ha capito che se sfruttava questo movimento poteva poi farcela. Dopo 10 minuti di tentativi – lei era lì che aspettava che lui facesse- ,  e poi ??? Fiducia. aloora capite? Ma noi abbiamo fretta, perché dobbiamo andare non so dove a fare non so cosa, perché abbiamo sempre qualcosa da fare perché siamo in una grande macchina e dunque non possiamo stare ad a spettare un quarto d’ora, permetterci questo lusso… capite?

Ma senti non possiamo permetterci questo lusso, poi l’adolescente non può permettersi il lusso di fronteggiare a testa alta l’angoscia e di andare fiero incontro al suo destino Coe diceva questa mia allieva che era veramente una discola, non stava mai attenta… o sì? Faceva sempre mille cose mentre io spiegavo ma poi era sempre attenta, però faceva di tutto di più, sempre in conflitto con gli altri insegnati. Ma quella tera una  che l’angoscia la sapeva reggere. Capite?

Avere devozione per le volontà individuali del bambino: questo è ciò che consente ai bambini di diventare poi degli adolescenti capaci di attraversare un’epoca biografica, un’età biografica caratterizzata “di per sé” dall’angoscia.

Io mi fermerei qui per scambiarci esperienze, opinioni.

Domanda: Io ho sentito di adolescenti che feriscono il loro corpo. Lei ha un’idea del perché lo fanno?

Io ho lavorato  nella psichiatria come infermiere, e c’erano pazienti che hanno questa malattia che non mi è molto chiara. E dicevano..”Quanto mi ferisco mi sento”.

Risposta: Dunque, si potrebbe dire che l’autolesionismo che consiste nel tagliarsi è una pratica che ha  che fare con la pelle che viene ferita. E la pelle che è quell’organo attraverso il quale ci differenziamo dal modo esterno; fin dove arriva la nostra pelle siamo noi, dalla pelle in poi c’è il mondo. Dunque è un confine un limite. Si potrebbe dire che limita la mia forma e costituisce una sorta di involucro. Un involucro che mi avvolge. E dunque Henning Kohler, che è stato uno dei miei maestri più importanti, diceva che il senso del tatto è il senso della forma e dell’involucro. ???

Ora, nell’adolescenza che cosa succede? Che la percezione del corpo viene fortemente compromessa. Questo è un fenomeno abbastanza generale. I piercing, i tatuaggi, sono tutte pratiche che hanno a che fare con la pelle è un’età questa in cui è piuttosto comune ad un senso di de-personalizzazione e de-realizzazione. Una mia allieva diceva:”Io a volte non mi sento”, e chiedeva a sua madre, che era una donna abbastanza corpulenta, di sedersi sopra di lei: per sentirsi. Negli adolescenti, in una certa misura, è un fenomeno fisiologico nel senso che fa parte della crisi adolescenziale. Se però questa misura viene oltrepassata, il fatto di tagliarsi ( a volte mi dicono”mi sono tagliato”, ma a volte sono graffiati, c’è modo e modo di tagliarsi ) è sicuramente un modo di sentire il proprio corpo e porre rimedio ad una sensazione di perdere il contatto con la propria corporeità, il sentirsi in un certo senso “irreali”. A volte mi raccontano: “Io cammino per strada e mi sembra quasi di non essere io, non mi sento reale. Guardo le altre persone e mi sembrano marionette, come se fosse tutto un teatro…”.

Vede, il bambino piccolo è in grado di – come dicevo all’inizio – percepire ciò che l’altro sente, ciò che l’altro pensa in modo immediato. Non il modo come l’altro parla o si esprime. È come se l’interiorità dell’altro per il bambino piccolo fosse aperta. Diceva una mamma che la figlia dopo i quattro anni non ha mai bagnato il letto. Una volta sola l’ha fatto: quella notte in cui è morta la zia (suicida). Lei però non lo sapeva, né che era morta tanto meno che si era suicidata; l’ha saputo poi da quindicenne, perché le era stato detto che la zia era ammalata. Ma lei quella notte lì, l’unica notte, bagna il letto. I bambini sono in comunicazione, una comunicazione di cui noi non sappiamo più quasi niente, se non perché siamo ipersensibili e abbiamo sviluppato qualche capacità. Però l’adolescente perde questa capacità, è come se, in un certo senso l’altro, come se si presentasse quasi in un guscio vuoto. La percezione dell’altro non è più quella del bambino, l’adolescente vive come in una sorta di … Henning Kohler dice che è come passare dal mondo dell’essenza a quello del cosmo, in modo prosaico, al mondo dei corpi degli altri. Quando queste sensazioni sono particolarmente intense si può arrivare anche a dire ??? Io esisto.

Questo ha a che fare sicuramente con il senso del tatto dunque bisognerebbe rafforzare con il massaggio ma anche entrare in con-tatto. Per esempio proprio ieri ho conosciuto per la prima volta una ragazza di 16 anni; lei si taglia, per questo l’hanno portata. Ha frequentato le scuole Waldorf, l’asilo Waldorf (sapete quanto si curano i sensi basali), gli animali, l’equitazione… Allora, questi schemi non funzionano più? Ma lì c’è un problema: nella famiglia di questa ragazza vige un clima di menzogna in cui i genitori vanno a spiare nel diario della figlia ma poi non glielo dicono; poi dicendole delle cose ma poi non vengono dette; lei non si fida più del padre (che è un tecnico della Vodafone) per cui sa entrare nel pc, lei dice:” Io non posso più usare il mio cellulare perché mio padre potrebbe entrare e vedere tutto quello che io scrivo, dico, faccio, fotografo !!! E io non voglio”. Ha 16 anni e ovviamente vuole avere la sua privacy. “Non riesco ad avere la mia privacy, mi sento invasa”, allora lei si taglia … forse per quello? L’ho vista una volta sola, non lo so, ma ho un sospetto, gliel’ho anche detto: ”Non so quello che devo fare ma ho un sospetto: che i confini che tu cerchi di tracciare vengano violati continuamente. Tu metti dei confini che vengono violati”. E dunque, attenzione a violare i confini Perché  poi a quel punto è come se qualcuno ti mettesse un dito in bocca. Uno passa e ti mette un dito in bocca. “Ma come ti permetti!” “ Mah così, era solo per fare. E poi è una volta sola.” “Ho capito, ma intanto l’hai fatto, potresti farlo altre volte. E’ come una porta che non so più se è chiusa oppure no, non mi posso più fidare.”

Rischiano i confini del corpo ma anche dell’anima, fin tanto che i confini dell’anima vengono violati così, è proprio la percezione di sé ad essere insicura. A quel punto, io penso che sia per questo che quella ragazza si taglia. L’ho vista una sola volta, ma credo che comunque abbiamo a che fare con il confine.

Rispetto dei confini dell’anima:  anche del bambino. Anche Emmi Pikkler quando attende rispetta i confini dell’altro, la volontà dell’altro che costituisce anche l’involucro invisibile che ci consente di sentire noi stessi: non siamo solo corpo fisico.

Domanda: Mentre lei parla rifletto: anche con altre persone stiamo creando un progetto in cui possono venire gli adulti e forse in futuro anche adolescenti; in cui le persone possono incontrare altre cose, nuove idee, rapporti con gli altri e lavori manuali. E penso che questo sia un modo di incarnare in modo giusto. La vita è anche un’ autotensione ma in modo positivo. E’ solo un’idea, ma cosa direbbe lei ad un adolescente che si taglia, che cosa dovrebbe fare?

Risposta:  Non ho ricette. Ogni adolescente è diverso. In generale consiglio adolescente e genitori, faccio in modo che possa percepire sempre i propri confini nel corpo (massaggi, frizioni e quello che secondo me è più opportuno) e nell’anima. Esiste non solo una pelle del corpo ma anche dell’anima. Rispetto, rispetto della volontà dell’adolescente, la capacità di dire sì, la capacità di dire no.

A volte questi adolescenti non sanno nemmeno loro cosa vogliono. Sanno cosa non vogliono ma non sanno cosa vogliono. Sanno cosa devono, cosa non vogliono, ma non sanno cosa vogliono. E allora, l’importante è creare un campo sociale di calore in cui possa crescere, vedere riconosciuta la volontà dell’adolescente e questo campo sociale dovrebbe essere un campo di calore.

Domanda:  Mi stavo chiedendo come possa fare un insegnante a un gruppo, una classe a fare arrivare questo messaggio di rispetto della loro volontà, e nello stesso tempo la necessità di rispettare delle regole. Perché è necessario in una società rispettare tutti le stesse regole. Risposta: Mettere le regole in conflitto con la volontà, questo lo diceva Hobbes: siccome ognuno di noi ha una volontà, e siccome la volontà di ognuno di noi configge con quella degli altri, allora tutti devono rinunciare alla loro volontà tranne uno: il sovrano. E così si rinuncia alla libertà in nome della sicurezza. Ma questo modo di intendere la volontà dell’essere umano ritengo che sia un vero fraintendimento. Steiner dice esattamente il contrario. Dice:” L’uomo è un essere sociale da subito”. Anche la psicoanalisi feudiana la pensa come lui, sostanzialmente: l’uomo, lasciato libero, uccide il padre e sposa la madre. Dunque è un essere sociale in pericolo, dunque è necessaria l’educazione per diventare un essere sociale; e dunque di nuovo la volontà in questo caso intesa come pulsione, come istinto, in conflitto con la legge sociale, con le regole, le norme. Ma anche questo è tutto sommato un fraintendimento, perché in questo modo l’uomo viene considerato come un animale. Steiner dice che la volontà dell’essere umano è molto complessa, in quanto espressione del corpo fisico innanzi tutto, poi, in quanto espressione dell’Io (ora salto un pò), è una ??? Anelito. Dunque, la volontà dell’uomo. Sì certo, un bambino può metamorfosare, trasformare la propria volontà sempre in relazione con gli altri, ma è originariamente un essere sociale. Il bambino originariamente si aspetta che il monto sia buono, sia bello e sia vero, si aspetta il bene e non si aspetta di essere – come dire- “fregato” dagli altri. Ci sono affatto antropologici, ora mi sfugge il nome, anche studi italiani, che hanno dimostrato che anche i bambini piccoli sono capaci di atti di generosità, sono generosi, sono spontaneamente portati ad aiutare l’altro e dunque, si potrebbe dire che l’essere umano originariamente è un essere sociale.

Questo mettere in conflitto la regola con la volontà è a mio avviso molto fuorviante ed è mortificante nel bambino. Un bambino o un adolescente vengono guardati sempre come una minaccia; a scuola gli allievi vengono guardati come una minaccia. Volete che vi racconti una storia allucinante! Nella mia scuola c’è un insegnante che siccome vuole interrogare i ragazzi a modo suo, chiedeva ai ragazzi di guardare il puntino del telecamera del computer e di non muovere le pupille. Perché potevano riempire di post-it lo schermo e così aiutarsi nell’interrogazione fregando l’insegnante. Ho saputo poi da una trasmissione su you-tube, un seminario su questo tema, che un insegnante chiedeva ai ragazzi di bendarsi. Sarebbe ridicolo se non fosse tragico. A scuola la relazione tra insegnante e studente si fonda sulla diffidenza: “Tu sei li per fregarmi”.  E’ chiaro che a questo punto siamo nella logica di Hobbes: Homo homini lupus. Non ti puoi aspettare niente di buono dall’altro ognuno fa i suoi interessi a tuo discapito. In questo modo è chiaro che poi si entra in una mentalità paranoica che è la mentalità, mi spiace dirlo di ???, perché pur di non essere denunciato faccio l’analisi ??? Però… È una logica totalmente dominata dalla paura; le relazioni all’interno della scuola sono in una buona parte determinate dalla paura. L’insegnante ha paura di vedersi togliere il ruolo, perché se qualcuno lo frega lui ha perso il ruolo: che autorità ho se uno mi frega? Ho perso la volontà! ; allora non mi devo far fregare devo far vedere il mio ruolo.

Anche questo tema del ruolo: viviamo incatenati, ognuno di noi ha la sua cella che è il ruolo che lo domina siamo attaccati al ruolo come se fosse la nostra identità, invece è solo un vestito che possiamo mettere e togliere a piacimento. E questo ci domina. Credo che questa pandemia ha messo in luce come non possiamo più rimanere attaccati al ruolo. Adesso dobbiamo presentarci per quello che siamo veramente. Entrare in classe e dire: “Io sono un essere umano, voi siete degli esseri umani. Come possiamo collaborare fare qualcosa di buono insieme? Mettere al centro la cultura? (Che deriva da coltivare, far crescere). Dunque: come possiamo far crescere qualcosa in questo gruppo che noi siamo? Perché noi costituiamo un gruppo, che vuol dire: rapporti di fiducia”. E poi all’interno di questo gruppo vediamo quali sono le conoscenze che ci possono arricchire e rendere più umani. Non disumani, non macchine che funzionano, non soggetti performanti, ma più umani. E allora la regola diventa: come ci possiamo mettere d’accordo perché questa cosa funzioni? Perché possiamo lavorare insieme: allora la regola scaturisce naturalmente dal lavoro che si fa insieme. Se tu vai in qualsiasi officina, o falegnameria o laboratorio di creta o ceramica, nessuno ti dice “Prima regola è … “. No. L’artigiano ti dirà: “Guarda, se vuoi fare un vaso devi prendere la creta, bagnarla in un certo modo, ti insegno non la regola ma la pratica che nel corso dei secoli gli uomini hanno scoperto come la migliore”. Non è la regola imposta da fuori la cui trasgressione comporta una pena.

Domanda. Ma nella maggior parte delle scuole è così!

Risposta: …e io ritengo che i ragazzi ne soffrano a tal punto che il malessere crescerà in modo esponenziale. Ne soffrono perché non sono riconosciuti per la loro individualità.

Domanda:  La mia è più che altro era un’osservazione. Quando lei ha detto: l’angoscia è una porta stretta attraverso la quale poi si accede ad un mondo nuovo e facendo un riferimento biblico ad Adamo, come parallelismo mi è venuta l’immagine della Crocifissione. Che è un’alto testamento. Diciamo Cristo è passato attraverso quella porta stretta ed ha visto il mondo in modo diverso, così noi dovremmo riuscire a sopportare le nostre angosce che sono le nostre pene individuali sopratutto e anche collettive e non rifuggire. La sopportazione ci dovrebbe aiutare a essere migliori e essere liberi.

Risposta:  è proprio così grazie.

Domanda: come è nato l’Illuminismo

Risposta: ci addentriamo in temi così vasti … vi ringrazio.

Domanda: Io volevo fare una domanda più pratica mi trovo con mia figlia di 16 anni e vedo che è proprio vittima di questa paura dell’insuccesso per cui il 6 della materia è più importante di aver imparato e io sto lottando con questa cosa da sempre. E però non riesco a farle passare questo messaggio neanche con la mia vita, che penso sia l’esempio di una cosa che non è andata in quella direzione. Allora, chiedevo cosa possiamo fare per aiutare questi ragazzi.

Risposta: in linea generale, non conoscendo il caso specifico non posso dare una risposta esauriente. Però in generale??? Io ritengo che la pressione che si fa sugli studenti è veramente decisiva. A partire dai bambini delle elementari, la richiesta di prestazioni che si fa nella scuola è veramente eccessiva e genera ansia, angoscia, competizione, angoscia di fallimento; e a volte i genitori concorrono un po’ a creare questo clima. Nel suo caso mi sembra di no, ma i genitori sostengono affiancano questa attività della scuola e questo è molto dannoso. E’ dannoso perché in realtà invece di favorire lo sviluppo umano, favorisce un adattamento che non può durare a lungo, prima o poi sfocia in una patologia o in una crisi adolescenziale che può essere severa. Dobbiamo mettere al centro non la prestazione ma la cultura. Dobbiamo non mettere al centro l’ego ma l’Io. Per usare una terminologia psicologica, non dobbiamo partire dal narcisismo ma dobbiamo invece aiutare gli adolescenti a sviluppare l’amore per la cosa in sé, non per se stessi, per la cosa, è la cosa che parla. Non per tutto ciò che evoca la tua immagine e tu lo fai. Invece a scuola conta moltissimo l’immagine e conta l’immagine che poi si vuole avere fuori (dallo schermo?): si diventa prigionieri di quell’immagine. L’anoressia è una delle patologie, uno degli esiti di una ???: le anoressiche sono bravissime a scuola, cercano la perfezione, devono essere sempre performanti, al massimo. Questa è una patologia.

Domanda: Lei prima ha fatto una disamina della situazione del ragazzo adolescente che oggi incontra dei problemi perché nella sua esperienza lei ha visto che è stato un bambino con alcune caratteristiche sopratutto a livello di ??? Della famiglia. Ora, è evidente che in questo momento, la paura entra in famiglia ( lasciando perdere le notizie vere o sbagliate). Però la perdita deposto di lavoro, l’insicurezza, la pressione che i genitori posso subire creano paure e difficoltà. Allora la mia domanda è: in una famiglia in cui la paura entra e negarla, far finta che non esista è assurdo perché un bambino la percepisce, quali accorgimenti pratici per i genitori, un parente diretto può adottare facendo sì che quella paura che non può nascondere possa far sì che un bambino particolarmente ricettivo non diventi poi un adolescente che crolla?

Risposta: Quando un adulto prova angoscia e la riconosce e si propone di affrontarla, si fa aiutare e ha fiducia in una comunità che lo possa sorreggere. Ciò nonostante prova angoscia: si trova in una situazione che è delicata, che quello che è, ma è dentro un processo. E quando questo accade il bambino sente una paura abitata dall’uomo. Si potrebbe dire che quell’angoscia che si prova è un sentimento (la parola sentimento ha un significato diverso dalla parola emozione: come diceva un poeta è por mente al senso; mentre invece l’emozione sopraffà l’uomo). Se il bambino avverte che il genitore è preoccupato, è angosciato ma contemporaneamente affronta quell’angoscia, non la teme, non fugge chissà dove, ha fiducia nella collettività, si fa aiutare, ha fiducia di essere sorretto dalla solidarietà sociale, allora per il bambino quella diventa un’esperienza biografica ma non un’esperienza patogena. Ho conosciuto il padre di un bambino che era responsabile di un’azienda cinese di pannelli solari in Italia, un’azienda grande; quando c’è stata la crisi, i cinesi hanno ritirato tutto e dall’oggi al domani lui si è ritrovato senza lavoro. Aveva una macchina di lusso e l’aveva venduta; diceva:  “è dal meccanico … “. Lui ha potuto contare su una rete sociale, e dice: “Sono stati anni bui, però ce l’ho fatta”, e non credo che il figlio dia stato da meno. La povertà non produce patologia, anzi c’è un tasso di suicidi più alto nella nostra società consumistica di quanto ci fosse nella società contadina del ‘400. La nevrosi aumenta nella nostra società e anche la sofferenza psichica.

Un capodanno speciale

di Roberta Tazzioli – La Monda

Chi vive l’esperienza della Comunità socioterapeutica sa che i momenti più impegnativi sono quelli delle feste. Nell’animo dei nostri ospiti queste ricorrenze evocano spesso aspettative, ricordi, nostalgie, emozioni inespresse, difficili da gestire. Si toccano punti sensibili che possono far male. C’è un unico rimedio per questa condizione di difficoltà: elevare il mondo del sentimento, far emergere il senso più vero di ciascuna ricorrenza nella sua purezza.

Il Capodanno, per esempio. Nella conferenza tenuta a Dornach il 31 dicembre 1922 Steiner dice : “Questo è oggi il nostro grande compito: osservare come vi sia nel mondo l’atmosfera di San Silvestro, di ciò che muore, come però nel cuore di quegli uomini che divengono consci della loro vera umanità, della loro umanità divina, vi debba essere un’atmosfera di anno nuovo, atmosfera di tempi nuovi, di rinascita. Non rivolgiamo i nostri pensieri al simbolico San Silvestro e al simbolico Capodanno soltanto in modo conformista e festaiolo, rivolgiamoli perché divengano forti e creativi come li richiede l’evoluzione terrestre…”

Per cercare di vivere attivamente questa attesa, questo anelito verso un futuro di rinascita spirituale, fin dal primo anno di vita della nostra Comunità nel lontano 2006, abbiamo elaborato una tradizione che si è rivelata feconda e che volentieri ogni anno ripercorriamo. La serata inizia con il classico cenone, preparato tutti insieme con grande gioia; si mangia spesso insieme ad amici invitati alla nostra tavola. Poi c’è il tempo per canti, danze, tombola… Ma quando si avvicina la mezzanotte ci apprestiamo a realizzare un compito da tutti considerato solenne e importantissimo per la nostra comunità. Si tratta dell’allestimento del Preparato dei Tre Re, ideato da Hugo Erbe, un agricoltore biodinamico tedesco, su indicazioni di Rudolf Steiner; la sua particolarità è che deve essere preparato proprio a cavallo della mezzanotte, fra anno vecchio ed anno nuovo, un momento molto particolare della vita della terra e del cosmo. Abbiamo la fortuna di abitare e lavorare in un’azienda biodinamica e l’allestimento dei preparati è al centro della nostra vita comune: l’importanza di questi gesti è riconosciuta da tutti noi.

Così, intorno alla mezzanotte ci riuniamo in una stanza illuminata da candele, intorno a un tavolo dove sono poste tre coppe che contengono oro (Aurum in diluizione della Weleda), incenso e mirra.  La preparazione richiede che queste sostanze vengano finemente triturate nei mortai; formiamo una catena e facciamo passare fra le mani di ciascuno i mortai, pestando a turno le varie sostanze. Chi ha partecipato a questo momento può testimoniare che l’atmosfera è di grande concentrazione, e il silenzio che si diffonde ha un carattere molto speciale. Da lontano si sentono i primi botti ma non riescono a distrarci e fino alla fine la nostra attenzione si concentra in ciò che avviene nel nostro cerchio. Si diffonde nella stanza un profumo molto aromatico e caldo che resta a lungo nell’aria; alla fine le sostanze vengono unite in una coppa.

Poi si scende in giardino ( se il tempo lo permette), si brinda e si fanno gli auguri fra di noi e ai nostri cari.

Il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, il preparato viene diluito e dinamizzato e tutti insieme lo si spruzza irrorando i limiti dei nostri campi, per creare una protezione per la vita degli elementi che durerà tutto l’anno.

Tessitura sociale a casa Loïc. Un nuovo inizio

Finalmente, dopo le ferie estive, tutti i laboratori di Casa Loïc hanno ripreso a pieno regime! Ed è
così che i telai del nostro centro diurno hanno ricominciato a fare progetti tessili e umani di grande qualità.
La Socioterapia ha avuto un grosso periodo di trasformazione con il Corona virus, ma noi non siamo rimasti indifferenti a tutto questo. Per la situazione di emergenza abbiamo dovuto fare tante cose che non ci saremmo mai immaginati, e i nostri lavori sono stati in pausa per cause di forza maggiore. Così la nostra coordinatrice e maestra d’arte tessile Barbara Valentin Zorrilla è stata quasi due anni impegnata a lavorare in casa famiglia per i nostri ospiti dell’associazione che vivono nel residenziale. Questo è stato un bellissimo periodo dove abbiamo potuto convivere in maniera intensa, eppure lì è riuscita a portare il nostro modo di vedere l’arte e la relazione umana in tanti modi. Abbiamo strutturato un ampio progetto creativo a partire dalla vita quotidiana e così siamo riusciti ad arredare la casa, decorarla, dipingere i muri con le velature a base di acquarello, realizzare cornici con collage per ogni stanza, ricami, costellazioni di stelle, ritratti, regali per i nostri cari, arazzi per ogni stagione… Ci siamo inventati di tutto per fare del momento d’emergenza un’opportunità di crescita, d’amore per il sociale, e così riuscire a far sbocciare con tanta delicatezza e calore i valori che noi possiamo vivere nel nostro quotidiano, ma magari nel mondo “esterno” facciamo maggiore fatica a trasmettere.
Abbiamo accettato tutti questi cambiamenti con grande eleganza e abbiamo potuto imparare tante cose da queste nuove forme di lavorare e vivere insieme. Dopo le vacanze estive, finalmente abbiamo ripreso a lavorare con maggiore tranquillità nel nostro amato centro diurno e la tessitura ha ricominciato a produrre alla grande.
Ci siamo ritrovate con tantissima gioia!
La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di riordinare tutto il laboratorio, scegliere i telai per ognuna di noi e approntare la mansarda come isola di benessere e luogo per dedicarsi a vari lavori artistici.
Il gruppo dei tessitori è nuovo e stiamo ancora cercando di conoscerci bene, imparare a tessere insieme e capire quali sono le nostre capacità o punti di forza. Ma noi siamo molto pazienti, perseveranti e impariamo ogni cosa con fierezza, perché sappiamo che tessere non è da tutti, che è un lavoro molto impegnativo e richiede il meglio di tutti noi ogni giorno. L’arte della tessitura è un oceano dove si può scorgere ogni piccolo errore, dove ci si impiega tantissimo a montare un telaio, dove possono accadere una marea d’imprevisti… E ogni giorno siamo felici di ritrovarci nella sfida di essere tessitori.
Durante il mese di settembre il gruppo si è preparato all’atmosfera di Michele, riflettendo sul tema della libertà. È stato un tema molto ricco, soprattutto dopo lo stato di emergenza che abbiamo vissuto, perché lo sentiamo con più forza.
Qui vi lasciamo la poesia che abbiamo letto in questa ultima settimana di settembre, per accompagnare la festa di Michele.
Rabindranath Tagore, “Sotto il cielo della libertà
Dove la mente non conosce paura
e la testa si tiene alta,
dove il sapere è libero, a tutti,
dove il mondo non è chiuso
dalle pareti di una casa,
dove la mente è a Te indirizzata,
verso pensieri e azioni sempre più grandi,
sotto questo cielo di libertà, Padre mio,
fa’ che il mio popolo si desti.
Il gruppo delle tessitrici lavora con passione e impariamo sempre grazie all’ aiuto degli altri. Noi non possiamo fare nulla da soli, tessere è un processo lungo, complesso e pieno di dettagli che dobbiamo osservare con tanta cura. Con gli altri compagni tutto diventa più facile, ogni piccolo gesto, dal passaggio di una navetta a preparare un po’ dei gomitoli con un filato molto delicato!
Una delle nostre tessitrici, Francesca K., in questo momento si sta impegnando in un progetto di quattro sciarpe invernali chiamato “La notte stellata III”. Lei è una amante di Vincent Van Gogh e sono tre anni che prende ispirazione dalle opere del grande artista per realizzare i suoi progetti tessili. Lei sceglie una delle opere che le risuona di più interiormente, dopo osserviamo i colori per fare l’ordito e successivamente lavoriamo sulla trama. Siamo convinti che i tessuti che realizzerà saranno speciali e unici, pieni di creatività, che regaleranno magia a chi avrà il piacere di comprarli! Abbiamo sue sciarpe sparse per L’Europa: Madrid, Jaén, Milano, Roma, Padova, Firenze… Lei è veramente una artista sociale, oltre che tessere, Francesca fa dei dipinti molto originali che regaliamo a nostri amici di casa Loïc in occasione di compleanni e, ogni giorno dopo pranzo, ama scrivere i suoi sogni su un quaderno.
    
Francesca de M., invece, si sta dedicando ad un progetto tessile di tre sciarpe estive con colori autunnali, tutti scelti da lei con tanta originalità. Ogni tanto, quando tesse, esclama: “Sono felice!” e noi anche, siamo entusiasti perché è una grandiosa tessitrice, soprattutto con i pensieri.
Alessandra e  Kelly, insieme alla nostra cara Aurora, che sta svolgendo il servizio civile italiano presso la nostra struttura, stanno realizzando un lavoro molto particolare. Si tratta di tovagliette ispirate al quadro di Klimt dal nome “Le tre età della donna”, un’opera che celebra il legame madre e figlio. È un lavoro che ci ha dato tanti spunti per lavorare sui legami con la famiglia, con i nostri cari nonni o familiari vari che ci sono nel mondo delle stelle e che ci guidano da lassù. Abbiamo parlato spesso dell’importanza della casa, della cura dei luoghi che per noi sono importanti, come la casa dei nostri genitori, il laboratorio stesso, o le case famiglia.
Roberta di B. sta realizzando un tessuto sfumato con diversi verdi da lei scelti. È veramente felice di essere nel nostro laboratorio e sta imparando a tessere velocemente perché presto vorrebbe realizzare dei cappotti rossi!
Brunella è la nostra pittrice, che crea anche dei collage fantastici. Attraverso le sue opere stiamo lavorando sulle emozioni quali la calma interiore, la tristezza, l’ agitazione…
I falegnami di Casa Löic ci hanno promesso che realizzeranno anche delle meravigliose cornici in legno che decoreranno i dipinti di Brunella, che così potrà vendere.
Nel nostro laboratorio sta imparando a tessere un po’ da tutti, e per lei abbiamo pensato di montare un telaio di campionatura da portare in mansarda, giacché lei ama lavorare in spazi silenziosi e dedicarsi a piccoli manufatti. Con questo telaio realizzerà dei tessuti che riporteranno i colori delle sue pitture.
Noi operatori, invece, stiamo preparando delle sciarpe con tessuti più complessi, per confrontarci e darci forza l’un l’altro.
Abbiamo iniziato le nostre collaborazioni con gli assistenti di manufatti esterni all’Associazione e siamo molto soddisfatti perché realizzeremo delle cose nuove che vi sorprenderanno.
La prima collaborazione sarà con l’Associazione Gentilin ONLUS, che si prende cura di una casa famiglia che accoglie genitori di bambini prematuri che si trovano all’ospedale Gemelli di Roma. Per loro abbiamo iniziato a pensare come arredare, con le nostre creazioni, la casa famiglia.
Abbiamo pure una bella novità per Casa Ingrid, dove Marta, la nostra collaboratrice, terrà un laboratorio di sartoria. Con lei e le nostre ospiti realizzeremo le rifiniture dei nostri tessuti e creeremo manufatti come borse, cuscini, arazzi, portateglie, tovaglie, ecc.
Abbiamo in cantiere un progetto con un’artista di gioielli così come con la nostra amica Aurelia, che realizzerà delle borse da riciclo facendo dialogare i nostri tessuti con altri recuperati, come vele delle barche, jeans, tessuti di ombrelloni, cinture delle machine, ecc.
La nostra cara amica Silvana, di Milano, ci sostiene nella realizzazione di baschi rifiniti all’uncinetto, che sono veramente molto belli.
Questo è solo l’inizio di tante nuove idee che si espandono e che ci fanno vedere che il nostro lavoro è sempre più gradito e riconosciuto. Siamo ancora in una fase in cui dobbiamo ben riflettere su come e con chi collaborare dopo la pandemia, ma, per fortuna, abbiamo la serenità e la libertà che ci permettono di tessere ogni mattina, con amore e devozione.
Vorremmo augurare a tutti un buon periodo di Michele, in cui ognuno possa rigenerare il ‘drago’ che ha in sé con coscienza e con rispetto.
Vi lasciamo la preghiera semplice di San Francesco, che stiamo leggendo ogni mattina a casa Loïc in questi giorni, come ringraziamento per questa lettura.
A presto!
Preghiera Semplice attribuita a San Francesco d’Assisi
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia ch’io porti l’Unione,
dov’è dubbio fa’ ch’io porti la Fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè:
Se è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.
di Barbara Valentin Zorrilla, maestra d’arte tessile del Laboratorio di Tessitura di Casa Loïc, Capena.

La preparazione della festa di Michele presso ‘I girasoli’

Atmosfera di San Michele

O natura, la tua maternità, 

io la porto dentro di me entro il mio volere; 

e del volere l’infocata forza 

gli impulsi miei spirituali tempra, 

il sentimento a generar del sé, 

che porti me in me stesso. 

Rudolf Steiner

 

In occasione della festa di San Michele che ricorre il 29 settembre, lo staff e i ragazzi della Cooperativa I Girasoli hanno collaborato insieme per festeggiare tale ricorrenza.

Procediamo per gradi nel racconto partendo dai fiori, dalla loro osservazione e connessione con l’osservatore. Ciò è in connessione con la preparazione della festa di Michele. A tal riguardo abbiamo eseguito delle pitture ad acquarello sia sui Girasoli che sulle Ninfee del nostro laghetto.

I fiori dei Girasoli del nostro giardino

 

Le pitture delle Ninfee del nostro laghetto

 

Steiner nella conferenza sulla festività di San Michele tenutasi a Vienna il 28 settembre 1923 disse: “In ogni pianta vi è infatti come incantato un essere spirituale elementare.”…”Questi esseri elementari sono ovunque intorno a noi, e in effetti ci fanno la richiesta di non guardare i fiori tanto in astratto, di non farsene solo immagini astratte, ma di avere cuore, sentimento per l’essere animico spirituale che vive nei fiori e che vuole da noi venir liberato dall’incantesimo.”… Se l’uomo manca allo scopo il Dott. Steiner aggiunge…”Così l’uomo, anzichè liberare dall’incantesimo gli esseri elementari, diciamo delle piante, con la propria attività animica, col sentimento, li unisce al drago, li fa perire col drago nella propria natura inferiore”. Steiner prosegue dicendo che bisognerebbe imparare a guardare ogni pianta ed ogni pietra in modo diverso da come la si guardava prima, che bisognerebbe prendere di nuovo parte al corso dell’anno come si sperimenta la vita entro la propria pelle, e che questo è ciò che deve preparare alla festa di Michele.

Un altro tema che ci ha accompagnato è stato la lettura della fiaba di Goethe: “La fiaba del serpente verde e della bella Lilia” da cui è scaturito il lavoro collettivo dei disegni sottostanti.

  

   

   

Una lettura spirituale che ci ha accompagnato per tutto il mese é stata: “Per l’era di Michele” che essendo molto significativa veniva letta ogni pomeriggio dopo la chiusura delle varie attività durante il saluto pomeridiano.

Per L’era di Michele

“Dobbiamo sradicare dall’anima
tutta la paura e il timore
di ciò che il futuro può portare all’uomo
Dobbiamo acquisire serenità
in tutti i sentimenti e le sensazioni
rispetto al futuro.

Dobbiamo guardare in avanti con assoluta equanimità verso tutto ciò che può venire,

e dobbiamo pensare che tutto quello che verrà
ci sarà dato da una direzione del mondo
piena di sapienza.
E’ questo che dobbiamo imparare in questa era:
a saper vivere in assoluta fiducia,
senza alcuna sicurezza nell’esistenza;
a saper vivere nella fiducia
nell’aiuto sempre presente del mondo spirituale.
In verità nulla avrà valore altrimenti.
Discipliniamo la nostra volontà
e cerchiamo il risveglio interiore
tutte le mattine e le sere.
O Michele,
io mi raccomando alla tua guida
con tutta la forza del cuore,
così che questo giorno possa diventare
l’immagine della tua volontà di porre ordine nel destino.”

R. Steiner

Un’altra importante iniziativa è stata la preparazione di una recita dedicata a Michele: “La Spada di Luce”, dove sono stati impegnati tutti i vari laboratori nelle varie prove, sia per quanto concerne i costumi che per la realizzazione del drago, che per l’aiuto mnemonico delle partiture date ai protagonisti. Tale recita ha avuto luogo il mattino del giorno della festa di San Michele.

Il pomeriggio della festa ci siamo recati con tutti i ragazzi sul Carso triestino, accompagnati per tutto il tragitto attraverso il bosco dalla nostra euritmista Mariangela che ha suonato il flauto fino all’ ingresso della grotta.

Qui ci sono stati diversi canti dedicati che ci hanno accompagnato per tutto il tempo assieme al suono del flauto che creava una bellissima un’atmosfera.

Prima della prova di coraggio c’è stata anche una poesia di San Michele, “Inno a San Michele” accompagnata poi da alcune parole sul significato di tale prova. E’ stata rievocata l’esperienza della pittura della spada di San Michele che a detta di alcuni aveva toccato in modo significativo alcune persone. In tale occasione si era lavorato molto sulla postura del corpo, per il fatto che la spada corrisponde alla spina dorsale, l’elsa alle spalle ed alla testa, pertanto l’uomo deve diventare una spada, per poter dominare il drago e tenerlo a bada sotto i piedi.

 Si è parlato dell’autunno dove le forze della luce e del calore diminuiscono. Del fatto che l’ uomo non deve morire con la natura ma deve entrare dentro sé stesso nell’oscurità della propria grotta, e con un atto di coraggio riconoscere e combattere con il proprio drago interiore, tenerlo a bada sotto i piedi, attivare da sè le forze di luce e di calore che questa volta non vengono più dall’ esterno, ma devono attivarsi dall’interno, per poi risorgere in libertà. E’ un’illusione pensare di uccidere il drago, lo si può solo domare.

Riporto alcune immagini dentro l’oscurità della grotta, dove si vede il drago -rappresentato da tre operatori, uno per la testa e due per il corpo- che aspettava all’interno il partecipante. Questo entrava solitario, combatteva individualmente con la spada, per vincere il drago che cercava di spaventarlo con suoni e rumori spaventosi. Tutti i partecipanti entravano in grotta muniti di torcia e caschetto. Alcuni entravano spavaldi, altri titubanti, alcuni paurosi, emozionati, ma quasi tutti hanno affrontato la prova di coraggio con serietà e solennità.

   

   

Durante il mese non sono mancati i lavori e le osservazioni in natura, nel nostro giardino, orto e bosco, con la raccolta degli ultimi frutti, inclusa la bellissima esperienza della vendemmia. Vi salutiamo con lo sbocciare degli ultimi fiori, e vi auguriamo coraggio, entusiasmo e fiducia nel cercare di costrure da uomini micheliani un futuro migliore.

Con l’augurio che le forze di coscienza possano risvegliarsi nella nostra interiorità piene di entusiasmo, luce e calore, le relatrici Lucia Gigante, arteterapeuta, l’euritmista Mariangela Costa, assieme a tutti i componenti del Centro vi ringraziano molto per l’attenzione.

www.igirasolionlus.org

Henning Köhler, Pasqua 2021

Vivere la vita con i bambini ai tempi del Coronavirus

 

Una lettera ai genitori 

E qualche parola ai giovani 

 

 

 

Coronavirus senza fine. Il disagio si sta diffondendo. Qualcuno vorrebbe emigrare. (Ma dove?) Durante il primo lockdown nella primavera del 2020, più del 70% della popolazione tedesca condivideva le misure del governo; oggi, nella primavera del 2021, è solo circa il 30%, e la curva è in costante diminuzione.1

Tuttavia, incolpare “quelli lassù” per tutto è altrettanto comodo che seguirli ciecamente. La critica porta avanti solo se si riferisce a negligenze, errori o omissioni chiaramente identificabili.

Stiamo affrontando nuovi tipi di sfide (non solo per quanto riguarda il Covid-19). Molto cambierà, in un modo o nell’altro. Siamo solo all’inizio di un tempo di decisioni che avranno una vasta portata. Ogni individuo ha la sua parte di responsabilità per il modo in cui le cose si svilupperanno. Quello che serve prima di tutto è: più solidarietà con i socialmente deboli! Più democrazia! Più apertura e pluralità nel dibattito scientifico! Una nuova cultura della parola. Senza odio. Senza diffamazioni, risentimenti e accuse.2

Inoltre, dobbiamo prima di tutto prendere le cose come stanno e allo stesso tempo chiederci cosa si può fare praticamente contro la frustrante sensazione di esser in balia degli altri. È importante che voi, cari genitori, vi viviate come attori/attrici; come artefici della vostra vita e della vita dei vostri figli. Molto dipende da questo, specialmente adesso. Non c’è miglior rimedio contro la paura e la rassegnazione che risollevarsi e diventare attivi. Usare piccoli margini di azione nella vita quotidiana risulta spesso essere un grande passo avanti.

Le due parole magiche della pedagogia sono calore sociale e bellezza sociale.

Soprattutto in tempi difficili, dovremmo orientarci a queste. Non aspettatevi nessuna ricetta da me! Posso solo dare consigli sulla direzione da prendere e per il resto confidare nell’intuizione dei genitori. Perché i genitori in genere sanno meglio di chiunque altro di cosa i loro figli hanno bisogno. Solo che a volte dimenticano di saperlo. Il compito più alto del consulente pedagogico è proprio quello di ricordare ai genitori la competenza in loro possesso.

Dunque: cos’è bellezza sociale, come si crea calore sociale nel rapportarsi con i bambini? Ora avete un tema! Anche per le conversazioni con il vostro compagno, con la vostra compagna. Seguite questa traccia con particolare interesse! Scrivete i vostri pensieri al riguardo! Negli scout, il rituale di ammissione al gruppo comprendeva la promessa di fare almeno una buona azione al giorno, e nessuno doveva spiegare ai bambini cosa fossero le buone azioni. Ora vi consiglio qualcosa di simile. Dite a voi stessi: ogni giorno in cui non abbiamo fatto uno sforzo concreto per portare più calore, più bellezza nella nostra vita quotidiana, è un giorno perso!

“Highlights nonostante il Coronavirus!” potrebbe essere il motto, suggerisce la dottoressa Silke Schwarz.3 Propone di creare insieme ai bambini un diario dal titolo: “Il nostro ricco anno con il Coronavirus” (E forse diventeranno anche due anni …). Alexander Bartmann (vedi nota 2) raccomanda di fare alla fine di ogni giorno un bilancio: quali eventi, pensieri, azioni mi hanno tirato su, illuminato, alleggerito, accanto a tutte le cose deprimenti con le quali vengo costantemente confrontato? Ci sono così tante cose per le quali normalmente non c’è quasi mai tempo! Leggere ad alta voce, scrivere lettere (alla “vecchia” maniera, a mano), giocare insieme, cucinare, fare dei lavoretti, dipingere, fare giardinaggio (che riesce bene anche sul balcone), andare in bicicletta, andare in giro nel bosco… A proposito del bosco: ogni ora passata nella natura è cibo per l’anima! Ai tempi del Coronavirus, molti bambini passano ancora più tempo del solito in casa, e anche davanti allo schermo. Questo è deleterio per loro, non importa come lo si consideri.4

Ancora una cosa: non lasciate che la scuola si metta di traverso rispetto alla vostra decisione di fissare priorità pedagogiche. Per dirla tutta: scuola e pedagogia… raramente procedono insieme. Voi, care madri e cari padri, siete i primi responsabili dell’educazione! Non gli insegnanti, non lo Stato. Lo dice la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. E con buone ragioni. Se nelle circostanze date, già stressanti, il clima familiare viene ulteriormente avvelenato dallo stress scolastico, dovreste alzarvi in piedi e dire: “No, senza di noi!” Tutto il trambusto per il programma scolastico perso, che si suppone non possa mai essere recuperato, non è necessario, anzi veramente irritante.5 Il mio collega, il Dr. Marcus Fingerle, pedagogista curativo, filosofo e consulente di vita6, mi ha raccontato di una ragazza di sedici anni che, per settimane, stava seduta al computer fino a tarda notte cercando di imparare i contenuti delle lezioni, fino a che non era crollata con gravi attacchi di mal di testa, disturbi visivi, vertigini, nausea e crisi di pianto. Per essere onesti: quando sento cose del genere, mi infurio… (Marcus è stato chiamato su richiesta della ragazza e ora cercherà di fare in modo che lei sia sollevata per il momento da ogni pressione scolastica. Beh, avrebbero potuto pensarci prima.)

La mia collega Daniela Knobelsdorf 7 (assistente sociale nelle scuole e consulente pedagogica) a questo proposito fa notare che il Covid-19 è un problema globale. Gli studenti di tutto il mondo stanno perdendo lezioni! Questo non causerà certamente la fine del mondo.8

*

Se non altro per il bene dei bambini, non dovremmo metterci in uno stato di costante agitazione, come molti stanno facendo in questo periodo. I bambini vogliono appoggiarsi agli adulti.

Soprattutto ora. Da tempo non era così importante praticare la serenità. Per questo ricordo ora la famosa Preghiera della Serenità di Reinhold Niebuhr: “Dio, concedimi la serenità per accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare le cose che posso, e la saggezza per discernere le une dalle altre”. Allora, cosa possiamo cambiare? Da oggi?

Una preghiera è una meditazione, non un semplice “borbottio” (come notò una volta Heribert Prantl).9 Non è necessario credere in Dio per pregare, ma si possono anche intendere le preghiere come momenti di raccoglimento interiore. Inizialmente la preghiera di Niebuhr può sembrare astratta. Ma, se si riflette più volte sulle parole, esse dispiegano un effetto tangibile.

*

Voglio però aggiungere subito che sono consapevole della situazione in cui si trovano molte persone in questo particolare momento. C’è sempre un inghippo nella questione della serenità: proprio quando ne hai più bisogno, suona come una beffa sentirselo ricordare. Per i genitori il cui sostentamento sta per essere spazzato via, temo che la mia lettera possa non essere di grande aiuto. Dal punto di vista socio-politico, molte cose stanno andando male in questa crisi. Come sempre, sono le persone già svantaggiate ad essere colpite più duramente. (Dovrebbe scatenarsi una marea di proteste contro ciò e non contro gli sforzi dei politici e degli scienziati per salvare vite umane… anche se si può discutere se lo stiano facendo in modo saggio e adeguato). Ma questa lettera non è una dichiarazione politica, solo un tentativo (forse maldestro) di dare coraggio. Tuttavia, avrei la massima comprensione se genitori, immersi nell’acqua fino al collo, mi scrivessero: “Non abbiamo bisogno di consigli benevoli ora, signor Köhler, abbiamo bisogno di soldi e di sostegno pratico”.

Permettetemi tuttavia (da individuo che ha già vissuto giorni bui e che tuttora non guarda al futuro libero da preoccupazioni) di ricordare che si possono compiere piccoli miracoli se, invece di continuare a vagare ossessivamente in pensieri negativi, ci si chiede quali possibilità offra questo giorno, quest’ora, di trascorrere straordinari momenti di tranquillità e intimità con i bambini. Janusz Korczak ha formulato una Magna Carta dei diritti dei bambini.10 Il secondo paragrafo recita: “Ogni bambino ha diritto all’oggi”. Si potrebbe anche dire: “Ogni bambino ha diritto a noi oggi”. Korczak si occupò dei bambini gravemente traumatizzati nel ghetto di Varsavia e rimase sempre fedele ai suoi principi, anche in quelle terribili condizioni.

A volte si sente dire che sta crescendo una generazione traumatizzata per via delle misure relative al Coronavirus (distanziamento, restrizioni di contatto fisico, obbligo di mascherine). Metto in guardia da queste esagerazioni. Generazioni traumatizzate crescono in tempi di guerra. Le persone che lavorano con i bambini traumatizzati dei profughi conoscono la differenza tra trauma e insicurezza. Non è come se tutti o soltanto la maggior parte dei bambini delle società benestanti d’Europa fossero improvvisamente così disturbati da doverne sopportare le conseguenze per il resto della loro vita. Alcuni sono addirittura molto soddisfatti della situazione eccezionale. Un bambino di dieci anni si esprime così: “Spero che il Coronavirus duri a lungo. Ci dovrebbero essere sempre così tante vacanze. Finalmente ho abbastanza tempo per giocare. Mio padre è spesso a casa ora. Stiamo costruendo un castello di cartapesta. Papà racconta storie a me e a mia sorella ogni giorno”. I genitori del bambino hanno subito gravi perdite finanziarie e non sanno come andare avanti. Per questo prendono il loro compito educativo ancor più seriamente.

Riguardo alla scuola, il padre ha detto solo: “Finché non disturba la pace della famiglia…”. Daniela Knobelsdorf ritiene che un atteggiamento così sereno non sia molto comune al momento; lei, come assistente sociale lo può ben giudicare. Beh, ciò che non è, può ancora diventare. Chiedetevi sempre, cari genitori: come guarderanno tra qualche anno i nostri figli ai tempi del Coronavirus? Con timore, o forse addirittura con gratitudine?

Quanto un bambino soffra della crisi dipende, secondo l’opinione unanime di tutti gli esperti, in larga misura dall’ambiente familiare. Ma, ancora una volta, qui non si accusa nessuno! Alcuni genitori sono davvero in grande difficoltà, ed è fin troppo comprensibile che si crei in loro uno stato d’animo tetro. Eppure, care madri, cari padri: cercate di trarre il meglio dalla situazione! Accendete di luci l’oscurità! Per il bene dei bambini.

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Non c’è dubbio che molti bambini e adolescenti siano insicuri, alcuni sono addirittura completamente disorientati. Cos’è che li deprime? In parte l’ansia dei loro genitori, che si trasmette loro (questo è tanto più vero quando ci sono forti tensioni familiari); in parte è dovuto alle restrizioni dei contatti; in parte alla problematica combinazione di mancanza di movimento e consumo eccessivo dei media (che a sua volta porta a disturbi del sonno); in parte, come è già stato detto, allo stress da studio (che è aumentato in modo grottesco a causa dell’homeschooling); in parte al clima sociale avvelenato. Quest’ultimo non deve essere sottovalutato! I bambini hanno un intuito acuto per questo genere di cose. Le loro “antenne” arrivano molto lontano nel circondario.

Ovunque la crisi dovuta al Coronavirus sta mettendo le persone l’una contro l’altra. Ecco cosa vi consiglio: non lasciatevi coinvolgere!

E, naturalmente, molti bambini hanno paura che i loro genitori possano contrarre il Covid- 19, e nel peggiore dei casi, morire. Tuttavia, però, la probabilità statistica che si verifichi il caso più temuto è estremamente piccola. Solo pochissime persone sotto i 50 anni muoiono per un’infezione con il virus. Anche i decorsi gravi sono rari in questa fascia d’età. Così i bambini possono in tutta coscienza essere tranquillizzati che non devono preoccuparsi per i loro genitori, almeno non specificamente per il Covid-19. Il pericolo aumenta con l’età (il che è vero per quasi tutte le malattie). Non è facile, nella situazione attuale, rassicurare un bambino che è preoccupato per sua nonna o suo nonno.11 Tuttavia, anche tra gli anziani, la probabilità statistica di morire a causa del Covid-19 è solo leggermente più alta che nelle precedenti epidemie di influenza particolarmente virulente.12

Ma qui stiamo toccando una questione pedagogica di importanza generale. Si muore a causa di un incidente d’auto, d’infarto, di cancro, di vecchiaia, ecc. Ogni bambino prima o poi capisce che la morte è una compagna costante della vita; e che l’amore non offre non offre alcuna protezione contro di essa. Questa consapevolezza non è facile da digerire. Mio nipote di cinque anni è venuto a trovarmi di recente nel mio studio e mi ha chiesto bruscamente: “Quando morirai?” Chiaro e serio, il suo sguardo si è posato su di me. Ho risposto in modo schietto: “Aspetta e vedrai… Ma fino ad allora c’è ancora molto da fare”. E questo gli è bastato. Siamo stati in silenzio insieme per un po’. La morte è molto presente nella sua mente in questo momento. (A volte il silenzio è d’oro, e dare spiegazioni trasformerebbe l’oro in latta.)

La mia collega, la pedagogista curativa Katja Bach, ricorda: “Era un momento meraviglioso; ci trovavamo su una barca nel Mediterraneo: ho guardato profondamente negli occhi di mia figlia, era incredibilmente felice e piena d’amore. Poi lei, aveva allora otto anni, cominciò a piangere senza ritegno, gridando: Mamma, non voglio che tu muoia! Ero del tutto perplessa, non riuscivo a calmarla, nemmeno con la promessa che non avevo intenzione di farlo per il momento. Ho sentito il suo dolore e non ho potuto prometterle nulla, ma solo dirle della felicità che provavo, passando del tempo con lei. E che questa non poteva essere misurata. E sì, ho poi aggiunto, anche la mia vita finirà“.13 Katja consiglia un conforto semplice e discreto quando un bambino in lutto affronta il mistero della morte: “Tenete le braccia aperte, senza isteria, senza drammi”.

La consulente pedagogica Lilo Weiler porta un altro punto di vista al riguardo. Mi ha scritto: “Senza un’idea, per quanto vaga, di una dimensione spirituale della vita, non c’è risposta che dia conforto e fiducia al bambino”.14 Aggiungerei quanto segue: in ogni caso è naturale per i bambini aver presente una dimensione spirituale. Anche scienziati rigorosi non possono ignorare ciò.

Secondo alcuni studi circa il 90% di tutti i bambini del mondo (indipendentemente dal contesto culturale e sociale) crede nella pre-e-post esistenza dell’anima fino all’età di 10 o 11 anni. Questo cambia solo al passaggio della soglia della pubertà; solo allora sorgono dei dubbi (soprattutto nei paesi in cui prevale una visione materialista dell’essere umano). Quindi si può giustamente dire: la religiosità è innata, il materialismo è appreso. Da qui la mia raccomandazione: quando i bambini chiedono della morte, prima di rispondere, considerate la loro prospettiva. (Questa è comunque una regola d’oro della pedagogia: adottare la prospettiva del bambino). Ciò che voi stessi credete o che avete smesso di credere è qui irrilevante. Un buco nero da cui veniamo e in cui ritorniamo? Anime umane che pensano, sentono, sperano, amano e semplicemente cessano di esistere? Per i bambini ciò è del tutto incomprensibile. Anche coloro che hanno scelto il materialismo non dovrebbero turbare con questo i bambini. Non è una menzogna, ma un adeguamento, se, parlando con i bambini, si vuole prendere la loro prospettiva. Naturalmente, sarebbe un grande vantaggio prendere sul serio questa prospettiva, cioè non dare per scontato fin dall’inizio che sia irrealistica. Siamo onesti: cosa ne sappiamo? Forse gli adulti, sotto certi aspetti, stanno diventando sempre più stupidi, mentre si considerano sempre più ragionevoli. In effetti, ho il forte sospetto che sia proprio così.

Una delle mie figlie, ormai adulta, il suo nome è Michaela, quando aveva 6 o 7 anni, pretendeva da me qualcosa di impossibile. Mi aveva detto: “Promettimi che non morirai mai!”. Così come Katja ha descritto, anch’io non ho mai dimenticato quel momento. La mia risposta è stata all’incirca: “Tutte le persone ritornano in cielo prima o poi. Ma quando accadrà, sono sicuro che sarai già grande e sarai in grado di badare a te stessa. Allora sarà più facile separarsi. In ogni modo io continuerò a starti vicino dal cielo. Te lo prometto. Lo potrai sentire nel tuo cuore”. La prima parte della mia risposta (“Quando accadrà, sarai già grande”) esprimeva una speranza per la quale non c’era alcuna garanzia. E Michaela lo sapeva. Era comunque un po’ di conforto. Ma che dire della seconda parte della risposta? Non veritiera? Macché! Parlavo con una bambina! (E anche come terapeuta più e più volte ho parlato in questo modo, rivolgendomi a bambini in lutto, che avevano perso, o temevano di perdere, una persona cara). Per i bambini è chiaro come il giorno cosa significa “cielo” e “sentire nel cuore”. Non private i bambini di queste certezze!

Il Covid-19 ci pone insistentemente di fronte all’enigma della morte, che vorremmo invece tanto rimuovere. Credo che si tratti di un messaggio “segreto”, che la crisi ci vuole inviare. Ma di questo si dovrebbe parlare altrove e in un altro momento. Qui volevo solo esprimere: quando i bambini chiedono della morte (cosa che molti fanno di questi tempi), hanno diritto a due cose: per prima cosa all’onestà; per seconda al conforto. L’una non esclude l’altra. Il linguaggio “disincantato”, “disilluso” degli adulti è… sconfortante.

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Bambini in buona salute sono considerati potenziali trasmettitori del Covid-19.15 A scuola devono mantenere le distanze, indossare mascherine, non possono andare a trovare i nonni e non possono più abbracciare nessuno al di fuori della cerchia familiare più stretta. Nel lockdown è stato loro per lo più vietato di giocare con altri bambini. Molti sperimentano questa situazione come veramente oppressiva. E, naturalmente, chiedono: Perché?

Che cosa significhi “contagio”, i bambini lo capiscono presto, almeno approssimativamente. Mi sento male, ho il raffreddore, mal di gola, tosse, e questo a volte si trasferisce ad altre persone, attraverso il respiro o il contatto fisico. Ma provate a spiegare a un bambino piccolo che persone sane possono trasmettere malattie a persone sane! Esistono “corsi di base” sui virus, confezionati a misura di bambino, sia questa reale o presunta. Per esempio, i libri illustrati Corona il virus spiegato ai bambini (di Priska Wallimann e Marcel Aerni) eWilli Virus (di Heidi Trpak). La Fondazione Lesen elenca molte offerte interessanti per insegnare ai bambini le basi della crisi del Coronavirus.16 Kaja Bach mi ha indicato il programma televisivo Die Sendung mit der Maus. (Le sono piaciuti alcuni dei contributi di Ralph Caspers, perché erano oggettivi e tranquilli). Fatevi un’idea vostra, cari genitori. Voglio solo sottolineare che a volte è sufficiente dire: “Caro bambino, tutto questo è difficile da capire, ma non preoccuparti, ce la caveremo bene, finché questo strano tempo non sarà finito”. Vedete, i bambini presumono che i loro genitori ne sappiano più di loro.

Questo non li disturba affatto, anzi, dà loro un senso di sicurezza. A condizione, ovviamente, che i genitori riescano a mantenere la calma. Quest’ultima è molto più importante di qualsiasi “lezione chiarificatrice” su quanto accade biologicamente quando una malattia si diffonde. Come tutti sanno, la conoscenza dei fatti non aiuta necessariamente contro la paura, lo fa invece la sicurezza.

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Sotto la guida della Dr. Silke Schwarz e del Prof. Dr. David Martin, l’Università di Witten/Herdecke sta conducendo uno studio sulla tollerabilità dell’uso della mascherina nei bambini.17 I primi risultati (inizio 2021) riportano: molti bambini hanno lamentato disturbi; i più frequentemente menzionati sono stati: irritabilità, mal di testa, difficoltà di concentrazione, minore allegria, riluttanza ad andare a scuola o all’asilo, malesseri, difficoltà di apprendimento, sonnolenza/stanchezza. Gli autori dello studio raccomandano (riportato in breve): 1) I bambini che hanno problemi con la mascherina dovrebbero essere presi sul serio e non esclusi socialmente o messi sotto pressione. 2) Gli effetti collaterali nei bambini dovuti all’uso della mascherina devono essere chiariti a fondo. 3) Ciononostante, le regole (distanziamento, igiene, uso della mascherina, areazione) dovrebbero essere seguite, ovunque possibile. 4) Per il benessere dei bambini, genitori, insegnanti ed educatori dovrebbero trasmettere un atteggiamento positivo nei confronti della mascherina. (Dobbiamo sempre tenere a mente: i sentimenti negativi delle persone di riferimento più vicine ai bambini possono causare in loro disturbi non solo mentali, ma anche fisici. In effetti, questo accade spesso. È solo nella prepubertà che queste risonanze immediate si attenuano gradualmente).

Condivido le indicazioni dello studio di Herdecke.18 Anche voi, cari genitori, potete far riferimento a questo. Ma, per favore, non per motivi ideologici, solo se si manifestano effettivamente dei disturbi nel vostro bambino. Se questo è il caso, consultate un medico. I certificati di esenzione dalle mascherine non devono essere ignorati.19 (Una parola ai medici: per favore, non emettete certificati di compiacenza! Questo svaluta i certificati necessari dal punto di vista medico e suscita sfiducia). Non vi è alcun obbligo per i bambini in età prescolare di indossare mascherine. Gli scolari intolleranti alla mascherina, che sono certificati dal punto di vista medico, necessitano di misure speciali.20 Se vogliono andare a scuola, deve essere loro permesso di farlo. (Alcuni preferirebbero rimanere a casa. Anche questo dovrebbe essere concesso, se possibile).

Per maggiori informazioni sui rischi collegati all’uso della mascherina, consiglio di leggere il blog Kinder verstehen di Herbert Renz-Polster, un pediatra assolutamente affidabile che ha pubblicato molti libri eccellenti.21

A proposito: ci vuole un po’ di tempo per abituarsi alla mascherina. Il fastidio iniziale a volte si attenua dopo qualche giorno. E non tutte le sensazioni di disagio che si manifestano in relazione al suo utilizzo possono essere ricondotte ad essa. Inoltre, il Covid-19 nei bambini è solitamente asintomatico e non pericoloso. E questo nella maggior parte dei casi anche, come già detto, nella fascia d’età sotto i 50 anni. Il rischio aumenta significativamente nelle persone dai 50 ai 70 anni, specialmente se queste hanno patologie pregresse. Diventa davvero pericoloso dai 70 anni in su.22 A quel punto quasi tutti gli insegnanti ed educatori sono già andati in pensione. In breve: né i bambini, né i loro genitori, né il personale scolastico appartengono alle categorie a rischio. Che gli asili e le scuole possano diventare comunque dei focolai resta controverso. (Dopo aver esaminato gli studi, direi che la risposta tende ad essere positiva. Una cosa è certa: il virus può essere portato fuori dalla scuola o dall’asilo alle persone a rischio. Ecco perché le regole – distanziamento, igiene, uso della mascherina, areazione – sono importanti. Ma questo non è un motivo per fare pressione o escludere i bambini che hanno problemi con la mascherina).

Diversi educatori mi hanno riferito che i bambini sotto i tre anni sono particolarmente irritati, quando gli adulti indossano le mascherine. Bambini normalmente molto socievoli cercano il contatto visivo molto meno spesso e manifestano comportamenti quasi autistici. Ciò non deve sorprendere, se si sa come i bambini piccoli comunicano, come imparano a parlare, quale ruolo gioca l’espressione del volto di chi li accudisce. Se i volti sono mascherati, è possibile “leggervi” solo in misura molto limitata. Gli educatori sono anche tenuti ad evitare il contatto fisico, se possibile! Uno stato di cose altamente insoddisfacente, questo va detto chiaramente.

D’altra parte, circolano paure esagerate. Chi sostiene che, a causa della crisi del  Coronavirus, sta crescendo una generazione di persone gravemente disturbate nel contatto fisico,  ha perso la misura.23 Non si deve credere che sia scoppiata una guerra. La crisi passerà. E non siamo condannati all’inattività. Per quanto riguarda la spiacevole situazione degli asili: ora, cari genitori, molto dipende da voi! Date ai vostri figli a casa sufficiente attenzione e contatto fisico; non  è la quantità che conta, ma la qualità. Venti minuti più volte al giorno di intima vicinanza e di  attenzione totale per il bambino sono più importanti di intere giornate in cui si è fisicamente  presenti, ma per il resto costantemente distratti. 

E spegnete lo smartphone! È terribile quando un tale dispositivo interrompe  costantemente la comunicazione tra madre e figlio, padre e figlio. Lo osservo spesso e vorrei  intervenire ogni volta. 

Storie e canzoni dal lettore CD? Non prima dei 4 anni, se proprio deve essere.  Occasionalmente. Ma anche in questo caso vale quanto segue: i bambini hanno bisogno  soprattutto della voce, del sorriso, dello sguardo della madre, del padre, rivolto verso di  loro. Il suono in scatola non può sostituire tutto ciò. I bambini piccoli non devono comunque  stare davanti a uno schermo. I giochi al computer (anche quelli pubblicizzati come  “pedagogicamente validi”) sono veleno nella prima infanzia. 

In seguito alla crisi del Coronavirus stiamo vivendo una potente spinta alla digitalizzazione,  che porta profitti da sogno alle aziende high-tech, ma un sacco di problemi ai bambini e ai giovani.  È per questo diventato ancora più importante che voi, cari genitori, acquisiate delle conoscenze di  base sulle tematiche riguardanti l’educazione ai media e la competenza nel loro utilizzo. Ecco  riferimenti bibliografici utili: Struwelpeter 1-2. Una guida per genitori attraverso la giungla dei media (Pubblicati dalla Federazione delle Scuole Waldorf). Opuscoli facili da capire, chiari e pratici.  

Come già detto, i miei colleghi ed io siamo preoccupati che molti scolari (compresi gli adolescenti)  siano sovraccaricati dalle lezioni sullo schermo che si tengono a casa. Si lamentano di mancanza  di concentrazione, mal di testa, esaurimento, disturbi visivi, insonnia e altri malesseri. Stiamo  parlando di ragazzi, dei quali non si può certo dire che siano in guerra con il computer; a partire da  una certa età, questo fa semplicemente parte della vita delle generazioni di oggi. Ci sono dei  pericoli, lo so (per questo ho dato sopra riferimenti bibliografici), ma la maggior parte dei ragazzi se  la cava abbastanza bene, sempre che i loro genitori siano attenti e stiano loro vicini.24 Tuttavia,  dalla crisi del Coronavirus è emerso un miscuglio insidioso. Le attività ricreative fuori casa sono  state quasi del tutto soppresse, i contatti sociali ridotti al minimo; inoltre, in molte famiglie regna  una certa atmosfera di sconforto. Tutto questo incoraggia a un consumo eccessivo dei media, come dimostrano gli studi. E poi ci sono ore e ore di lezioni digitali ogni giorno, con insegnanti  irritati e alunni demotivati, che si tengono solo per raggiungere gli obiettivi fissati dallo Stato.25 

I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di tempo dedicato ad attività salutari,  interiormente rigeneranti e rilassanti. E hanno bisogno di movimento. Questo è vero sempre,  ma è particolarmente vero ora, durante la crisi del Coronavirus, che potrebbe protrarsi ancora per  mesi. Perché è così importante, vale la pena ripeterlo: andare a passeggiare, fare rifornimento di  luce del sole, respirare l’aria del bosco, fare brevi giri in bicicletta, cucinare, fare torte, fare  giardinaggio, realizzare piccoli lavoretti, dipingere, cantare, ascoltare storie, scrivere lettere (e non  e-mail, tanto per cambiare) … Queste cose sono veramente più importanti ora, più che  letteralmente “aspettare seduti” che la crisi finisca, magari davanti a uno schermo. Peraltro questo  è anche valido da un punto di vista immunologico e psico-immunologico.26  

Cari genitori, per il bene dei vostri figli, date al corso della giornata e della settimana  una struttura flessibile che non sia dettata dall’esterno, ma piuttosto riempita dall’interno. Si  tratta di configurare la vita insieme, invece di lasciarla passare in modo monotono fino a quando  alla fine tutto ritornerà al suo corso normale. (Pensiamoci: il “corso normale” forse non è stato  sempre così fantastico…) Rituali sensati possono far superare i momenti difficili, questo è noto,  viene spesso detto, ma raramente lo si prende a cuore. 

I bambini non dovrebbero rimanere più di 30 minuti davanti al computer, gli adolescenti al massimo  un’ora. Poi dovrebbero fare una pausa, nella quale, come ho già detto, il movimento è molto  importante, anche se non c’è la possibilità di uscire di casa. La mia collega Eveline Lied,  pedagogista curativa,27 raccomanda alcuni esercizi di rilassamento: 

1) Mettiti in punta di piedi. Allunga le braccia e le mani verso l’alto come se stessi  raccogliendo ciliegie da un albero alto. Continua ad allungarti e allungarti, poi pffft…  rilasciati (come si fa uscire l’aria da un palloncino). Ripeti questo più volte. Puoi  anche fare l’esercizio da sdraiato. (Aiuta contro l’irrequietezza, il nervosismo e l’ansia, migliora la consapevolezza corporea. Le tensioni si sciolgono.) 

2) Davanti al PC, di tanto in tanto strofina i palmi delle mani insieme finché non  diventano caldi e poi mettili sugli occhi chiusi per tutto il tempo che ti fa stare bene.  Puoi anche mettere le mani calde strofinate sul plesso solare, ancora con gli occhi chiusi. Prenditi il tuo tempo. (Aiuta contro i mal di testa incipienti, migliora la  consapevolezza corporea, calma il respiro.) 

3) Picchietta tutto il corpo con i palmi delle mani per fare un automassaggio. Poi  massaggia la testa con la punta delle dita, tamburellando sul cuoio capelluto come  se fossero gocce di pioggia. Ripeti più volte. (Stimola la circolazione del sangue,  migliora la consapevolezza corporea.) 

In generale, Eveline consiglia anche di spalancare di tanto in tanto le finestre, di saltare sul posto,  tenendo le braccia completamente sciolte. 

Vorrei aggiungere due esercizi che si sono dimostrati validi anche nella pedagogia curativa: 

1) Metti delle scarpe robuste. Tieni in equilibrio un libro sulla testa e cammina con  attenzione qualche passo con le braccia allungate di lato. Prenditi il tuo tempo. Stai  dritto e cammina a testa alta. È una sensazione straordinariamente piacevole. (Non  fare caso se il libro scivola giù all’inizio. Hai bisogno di un po’ di esercizio). Poi sali  su un tavolo basso e salta giù in modo tale da arrivare a terra con entrambi i piedi  contemporaneamente. Ripeti questo più volte. (Favorisce la concentrazione.) 

2) Posizione di partenza: accovacciato, schiena curva, braccia penzoloni, spalle  penzoloni, testa penzoloni in avanti. Premi le gambe al rallentatore. La schiena  rimane ricurva, le braccia, le spalle e la testa continuano a penzolare senza forza.  Resta così per cinque secondi. Poi raddrizza lentamente la colonna vertebrale. Le  braccia, le spalle e la testa continuano a penzolare senza forza. Resta così per  cinque secondi. Ora lentamente (molto lentamente) solleva la testa. Spalle e braccia  continuano a penzolare senza forza. Resta così per cinque secondi. Poi tendi le  spalle, allarga le braccia e riuniscile sopra la testa con le mani aperte verso l’alto fino  a che le punte delle dita si toccano. Mentre sollevi le mani, mettiti in punta di piedi.  Resta così per cinque secondi. Poi batti entrambi i piedi più volte e scuoti tutti gli  arti. (Migliora la condizione generale, aiuta contro l’irrequietezza.) 

Si raccomandano anche lo yoga e il training autogeno. Due riferimenti bibliografici: Thomas  Bannenberg, Yoga per bambini, GU-Verlag; e: Karl-Heinz Behringer, Nicole Rösch: Training  autogeno con i bambini. (Beltz- Verlag). Eveline Lied sa anche molto sull’Aikido.  

Cari genitori, allontanate ogni tanto vostro figlio dal PC e massaggiategli il collo e le spalle. Anche i  pediluvi hanno un buon effetto. Quello che molte persone non sanno è che stare seduti davanti allo  schermo di un computer per ore e ore compromette la consapevolezza corporea del bambino, il  senso del movimento e il senso dell’equilibrio, che a sua volta porta all’ansia. Anche la capacità di  ricordare ne risente. 

Come assistente sociale nelle scuole, Daniela Knobelsdorf28 ha molte opportunità di parlare in  modo confidenziale con i giovani che hanno avuto un crollo. Risulta evidente che spesso c’è un  deficit di comunicazione. I giovani non sempre vogliono essere messi davanti al fatto compiuto  quando si tratta di affrontare la crisi. Un allievo ha letto la bozza della presente lettera e ha  commentato così: “Sarebbe bello se i miei genitori mi coinvolgessero di più, in modo da poter  riflettere insieme su come tutti i membri della famiglia possano avere ciò di cui hanno bisogno. In  generale, vorrei vedere più fiducia da parte degli adulti. I giovani potrebbero certamente portare  delle idee costruttive. Dovete solo chiedere a loro. Come se non fossimo capaci di gestire la  situazione in modo responsabile”. Quindi: tenete regolarmente riunioni di famiglia sul  Coronavirus… con i giovani! Ascoltateli! (Anche ogni scuola dovrebbe avere queste consulti). 

Daniela, lei stessa madre di due figlie, mi ha chiesto di suggerire a voi, cari genitori, di unire  le forze con altre famiglie per superare al meglio la crisi nel rispetto delle normative! 

Questo è un suggerimento molto importante. Si dovrebbero formare delle “partnership del Coronavirus”. Daniela ha condiviso la settimana con un’altra giovane madre. “Una cucina e si  prende cura dei bambini, l’altra può andare a lavorare in pace. E questo alternandosi. I bambini  fanno i compiti insieme e poi vanno a giocare. Tutto sommato, è una bella collaborazione”.  Aggiunge che farsi degli amici è comunque immensamente importante ora, per i bambini, per gli  adolescenti e per gli adulti. 

Rompiamo l’isolamento! Questo può essere fatto anche nel rispetto delle regole di  distanziamento e di igiene. Le crisi sono opportunità, si dice spesso. Forse la più grande  opportunità nella crisi del Coronavirus sta nel ricordarsi il valore di un’amicizia vissuta. 

Questo può essere sufficiente per oggi. Molti suggerimenti importanti possono essere trovati negli  opuscoli Eltern-Wissen in Corona-Zeiten I u. II (Konflikt-Kultur Freiburg / AGJ- Associazione per la  prevenzione e la riabilitazione dell’Arcidiocesi di Freiburg). Lo ha portato alla mia attenzione il mio  collega Dietmar Derrez (arteterapeuta, assistente sociale nelle scuole) mentre stavo lavorando a questa lettera.29 

Si possono giudicare le azioni dei politici in modo molto diverso, ma quello che si deve fare  per superare bene la crisi con i bambini non ha niente a che vedere con la politica. Anche la  controversia scientifica sulla giusta strategia d’azione nella pandemia dovrebbe essere lasciata  fuori da questo. Dopotutto, ce n’è davvero abbastanza da strapparsi i capelli; punti di vista completamente inconciliabili si scontrano, e gli avversari hanno solo una cosa in comune: fanno  tutti riferimento a studi scientifici. Cosa ne consegue? Le frasi che iniziano con le parole “Da un  punto di vista scientifico…” non sono necessariamente frasi veritiere. In realtà, questo è noto da molto tempo, ma al momento ne siamo toccati ogni giorno. Probabilmente ci vorranno decenni  prima che venga fatta un po’ di chiarezza sulle nuove minacce virali e su come affrontarle  adeguatamente. 

Mi sembra fondamentale che non si cada in un allarmismo, in un catastrofismo fuori luogo.  Le costanti informazioni dei media che ci riempiono di ” novità ” sul Covid-19 (raramente sono  veramente ” novità “) sono altamente frustranti. Ci si dovrebbe concedere qualche giorno di  astinenza alla settimana. Lo spettro deve essere a volte cacciato di casa. Fate discorsi in cui il  Covid-19 non compare affatto! 

Tre cose soprattutto aiutano contro la paura e i sentimenti di impotenza: primo, prendersi  cura l’uno dell’altro; secondo, inserire l’arte nella vita quotidiana;30 terzo, creare uno spazio  interiore per pensieri luminosi e caldi. Forse qui si può trovare un’opportunità della crisi: che  pensieri pieni di luce, caldi, cioè che aprono al futuro, siano di nuovo più apprezzati di quanto lo  siano stati negli ultimi 30 anni. Un altro mondo migliore è possibile. Per i nostri figli e nipoti. Come  potete notare, cari genitori, qui è un ottimista che parla. (Ma un ottimista che conosce bene la  tristezza). 

Calore sociale e bellezza socialequeste sono le parole magiche!

P.S. 

Mentre scrivevo questa lettera, si moltiplicavano messaggi di colleghi e amici, preoccupati perché  più la crisi durava, più giovani si trovavano in difficoltà animiche, arrivando persino a pensieri di  suicidio. I sondaggi lo confermano, e lo sperimentiamo anche noi. Molti adolescenti si sentono soli  nella situazione di crisi del Coronavirus e si rendono conto (con grande stupore) che i social, in tale  situazione, sono loro di scarsa utilità. Lo stress da studio si aggiunge al tutto, in un’atmosfera di  ansia onnipresente. Quindi non stupitevi se i giovani organizzano di nascosto riunioni, nei boschi o  in qualche scantinato, solo per riconquistare un pezzetto di “normale giovinezza”! 

È necessaria un’offerta capillare di servizi di consulenza per i giovani. Dovrebbero anche  essere date loro possibilità di attività ricreative in piccoli gruppi, naturalmente tenendo conto delle misure igieniche richieste. Inoltre, si dovrebbe riconsiderare se le chiusure delle scuole siano  davvero necessarie da un punto di vista epidemiologico. Il benessere dei giovani non può non  interessare i responsabili! 

Così alla fine ora ho fatto una piccola dichiarazione politica! Noi consulenti e terapisti  possiamo solo essere a disposizione dei giovani come interlocutori, se questi lo desiderano, e dare  loro qualche suggerimento. Per il resto abbiamo le mani legate. 

Qualche parola ai giovani 

Certo, voi detestate che gli adulti vi assillino con consigli sensati. Ma è esattamente quello che  voglio fare. E il mio consiglio non è nemmeno particolarmente intelligente, ma in realtà molto ovvio  e semplice. C’è, naturalmente, un problema: a volte è così difficile trovare il coraggio di fare le  cose ovvie che si riconoscono come giuste. (Chi non si è mai trovato in questo dilemma può farsi  avanti, io no). 

In questi tempi difficili, ci sono quattro cose da non trascurare: 

1) Staccatevi dal PC ogni tanto, avete bisogno di fare movimento! Preferibilmente fuori,  preferibilmente nella natura. Nessuna legge, nessun regolamento dice il contrario. Potete  anche provare alcuni esercizi da fare a casa nella lettera ai genitori…  

2) Dovreste coltivare le amicizie, ora più che mai. Telefonate, skype, e-mail, certo, un elogio  alla tecnologia! Ma credetemi, c’è anche qualcosa di molto speciale nello scrivere vere  lettere alle persone a cui si tiene. Le lettere scritte a mano sono spesso conservate e  apprezzate. Leggo ancora, da settantenne, le lettere che la mia amata cugina mi ha scritto  circa 55 anni fa. – Si può anche fare letteratura insieme, come scrivere racconti di fantasia,  questo anche online. Chi lo sa, può darsi che più tardi questo si trasformi in un libro  pubblicato in proprio. (Devo questa idea a due ragazze sedicenni. L’hanno fatto davvero,  anche se prima della crisi del Coronavirus). Inoltre, incontratevi con gli amici! Intendo dire  “dal vivo”. Per fortuna, non è proibito del tutto. Scoprite quali sono le regole vigenti  (cambiano continuamente) e usate gli spazi ancora liberi per fare qualcosa insieme, in due,  in tre, a seconda dei casi. Un picnic al sole, una passeggiata nel bosco, un breve giro in  bicicletta (il tutto nel rispetto delle regole di distanziamento e di igiene, ovviamente)… questo vi solleverà il morale. Garantito. 

3) Potreste pensare a cos’altro ha da offrire l’arte. Prendete dell’argilla, della pietra ollare o  degli utensili per dipingere e dateci dentro! Niente può andare storto. Si possono anche  fare meravigliose sculture o collage con pietre, rami, pezzi di vetro e così via. Scrivete  poesie! Componete canzoni! Lasciate che buoni amici vi partecipino, non dovrebbe essere un problema, siete tutti maniaci del PC, bravi nell’inviare video, foto ecc. Mettetevi  semplicemente in contatto con gli artisti, saranno felici di darvi consigli. 

4) Cibo per lo spirito. Il cibo scolastico, anche se a volte difficile da digerire, non è  generalmente molto nutriente, se posso dire la mia. Scoprite il mondo della letteratura! Sto  parlando della vera buona letteratura: prelibata ma anche appassionante. Leggere è un po’  passato di moda da quando tutto il mondo guarda solo film, ma si può fare qualcosa di  tanto in tanto che non tutti necessariamente fanno. Inoltre, ci sono gli audiolibri. Fatevi  consigliare da librai o altri intenditori di letteratura.(Cercate su Google “Litera-Dur, classici e  novità nella letteratura per i giovani”) Sono sicuro che puoi fare qualcosa anche con opere  filosofiche se qualcuno ti aiuta a trovare quella giusta. (Cerca su Google “Litera-Dur,  classici e nuove uscite nella letteratura per i giovani”) Sono sicuro che potete cavarvela  bene anche con testi filosofici, se qualcuno vi aiuta a trovare quelli giusti. Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder è diventato famoso. Vi consiglio inoltre: Valentin Wember, Dalla volontà  alla libertà. Una filosofia della gioventù. Se siete entusiasti, scrivete a me e ai miei colleghi  e organizzeremo con voi un workshop di filosofia online su temi come l’amore, la libertà, la  dignità umana, la paura, il bene e il male, la natura e la tecnologia, ecc.. Oppure potete  farlo voi stessi. 

E allora: non fatevi prendere in giro, emergenza Coronavirus o no! 

Restare in movimento, fisicamente e mentalmente, coltivare amicizie, essere  creativi… nessuno ce lo può impedire. A parte questo, abbiamo adesso tutti bisogno di  molta pazienza e di un sacco di buone idee. 

 

Aprile 2021 

Henning Köhler 

(Per gli amici dell’Istituto Janusz Korczak) 


Henning Köhler è mancato inaspettatamente giovedì 8 aprile 2021. 

I collaboratori dell’Istituto Janusz-Korczak pubblicano questo testo di Henning Köhler postumo e continuano a lavorare nel suo spirito. 

Janusz-Korczak-Institut 

Plochinger Str. 14 

72622 Nürtinger www.jk-institut.de


Pubblicato in italiano su “Arte dell’educazione”, anno XXV, I semestre 2021

Traduzione di Antonia Grasso


NOTE

1 L’insoddisfazione ha ragioni molto diverse. Alcuni chiedono un intervento dello Stato più duro, altri il contrario, altri  criticano l’ingiustizia sociale o le misure singole o le omissioni di chi ha la responsabilità politica.

2 Alexander Bartmann, uno dei primi lettori di questa lettera, ha notato che manca un’idea guida per superare  questa crisi e le crisi simili che seguiranno. Sono d’accordo con lui. Per sviluppare una tale idea guida, avremmo  bisogno di più democrazia, più apertura e pluralità nel discorso scientifico, e una nuova cultura del dialogo.

3 Ho chiesto ad alcuni colleghi/e e compagni/e stretti, tra cui Silke, suggerimenti per questa lettera ai genitori.

4 Cfr: Erziehungskunst, marzo 2021, Colonna K.

5 Cfr: Erziehungskunst, aprile 2021, Colonna K. 

6 Vedi nota 3 

7 Vedi nota 3 

8 Non di meno, dobbiamo stare attenti al fatto che singoli bambini possano trovarsi in grandi difficoltà e considerare  come il loro svantaggio possa essere compensato rispetto a eventuali esami.  

9 Heribert Prantl, Die Versuchung, Süddeutsche Zeitung, 26.02.2021

10 Janusz Korczak (1878-1942), medico ed educatore, si recò volontariamente nel campo di concentramento di  Treblinka assieme agli orfani ebrei a lui affidati e vi perì. Per me, è una stella cometa. Il suo libro Come amare un bambino può essere di grande utilità, soprattutto ora nella crisi del Coronavirus.

11 Le nuove mutazioni del virus che sono apparse nel corso dei mesi sembrano rappresentare un rischio maggiore per  le persone sotto i 50 anni. Inoltre, devono essere considerati i decorsi di “long Covid”: sintomi persistenti, a volte  gravi, dopo sintomi inizialmente lievi. Qui, i medici sono ancora di fronte a un enigma. Ciononostante, uno sguardo  alle statistiche (eccesso di mortalità in cifre assolute) può ancora essere utile contro le paure esagerate. Questo vale  anche per eventuali gravi danni da vaccino. Infatti, gli effetti a lungo termine dei nuovi vaccini non sono ancora stati  sufficientemente studiati. 

12 Lo dobbiamo anche alle misure adottate per combattere le epidemie. Tuttavia, deve essere aggiunto: inutilmente  molti anziani muoiono non per il Covid-19, ma per i trattamenti medici (intubazione prematura) e/o per essere stati  sottoposti a una vera e propria tortura dovuta all’isolamento. La critica a tutto ciò sta diventando sempre più forte.

13 Vedi nota 3 

14 Vedi nota 3

15 Che sia giusto o no, è discutibile. Le opinioni divergono su questo. Tendo a pensare che ci sia poco pericolo da parte  dei bambini. 

16 https://www.stiftunglesen.de/aktionen/vorlesen-corona/corona-erklaeren

17 www.co-ki-masken.de Articolo: Schwarz, S., Jenetzky, E., Krafft, H. et al. Coronakinderstudien „Co-Ki“: erste  Ergebnisse eines deutschlandweiten Registers zur Mund-Nasen-Bedeckung (Maske) bei Kindern. Monatsschr  Kinderheilkd (2021). https://doi.org/10.1007/s00112-021-01133-9 

18 Gli studi scientifici sul danno o il beneficio di indossare maschere sono contraddittori. Ognuno sceglie ciò che si  adatta alle proprie opinioni preconcette. In ogni caso: togliere la mascherina quando non è assolutamente necessaria!

19 Sono esenti (dall’obbligo di indossare una protezione bocca-naso), tra gli altri, coloro per i quali ciò non è possibile  per motivi di salute, che devono essere resi visibili in modo adeguato”. (Decreto del Wissenschaftlicher Dienst des  Deutschen Bundestages, 2020.)

20 Dovrebbero bastare dispositivi di purificazione dell’aria, che però devono raggiungere qualitativamente alti  standard, le regole di distanziamento ed eventualmente pannelli in plexiglass sui banchi di scuola.

21 https://www.kinder-verstehen.de/mein-werk/blog/dringend-zu-klaeren-sind-gesichtsmasken-fuer-kinder

22 Naturalmente, non posso escludere con certezza che si presentino nuove mutazioni del virus, che costituiscano un  pericolo significativo per le persone più giovani o addirittura per i bambini e gli adolescenti.

23 Ci sono altri fattori che giocano un ruolo molto più negativo delle restrizioni riguardanti il contatto fisico e l’uso delle  mascherine. I nuovi media, per esempio. Il “collasso climatico nello spazio relazionale”, come ha detto una volta  Felicitas Vogt, combinato con lo smantellamento delle conquiste delle comunità solidali. I bambini di oggi stanno  crescendo in un’era di ghiaccio sociale. Si stanno congelando. Creiamo luoghi di calore sociale! Difendiamo le persone  svantaggiate! Educhiamo i nostri figli in questo spirito! Il Covid-19 non può impedirci di farlo.

24 Dalla prospettiva di una pedagogia dell’adolescenza, il tema dei media è uno dei più delicati, perché molti giovani  non vogliono più sentirsi dire cosa fare dai loro genitori. Ma di questo si dovrebbe trattare in un altro momento. Le  scuole farebbero bene a organizzare workshop per i giovani con esperti dei media giovani e critici (per esempio il Chaos Computer Club). 

25 Opportunità ricreative sensate dovrebbero ora essere in cima alla lista degli aiuti governativi per i bambini e i  giovani. Arti e mestieri. In piccoli gruppi e, naturalmente, nel rispetto delle norme igieniche. Soprattutto le famiglie  socialmente deboli sarebbero aiutate da ciò. E invece, i centri culturali per bambini e istituzioni simili devono chiudere.

26 La psico-(neuro-)immunologia si occupa delle connessioni tra il sistema immunitario e la psiche. Discipline  strettamente correlate sono la ricerca sulla resilienza e la salutogenesi. 

27 Vedi nota 3

28 Vedi nota 3 

29 Vedi nota 3

30 Ognuno dovrebbe, se possibile, concedersi del tempo per l’attività artistica, ma anche per la lettura di buona  letteratura (o la lettura reciproca), l’ascolto della musica, ecc.. È qui che i nuovi media tornano utili. Si possono visitare  mostre d’arte, prender parte a letture o concerti online, guardare film di alta qualità (invece di essere sommersi giorno  dopo giorno dalla stessa robaccia di serie.

L’idea di infanzia – di Marcus Fingerle

9.05.2020 Conferenza dal Corso di Antropologia dell’Età Evolutiva

La mia vuole essere oggi una confessione oltre che una riflessione, o meglio una riflessione sulla mia stessa biografia, su ciò che essa contiene di universale come ogni biografia.

C’è in me qualcosa di irriducibile, una profonda convinzione, una certezza che costituisce un dato di fatto da spiegare più che qualcosa da dimostrare. E questa convinzione è che l’essere umano porti con sé, fin dalle origini, una dimensione di innocenza nella quale egli vive o per lo meno in cui vive una parte di sé, quella più sacra e inviolabile.

Non so bene per quale ragione io abbia questa convinzione, ma sicuramente mi proviene dall’infanzia, quando ero sicuro che fossero gli angeli a portare l’albero di Natale e ad addobbare il salotto che, a casa mia, restava chiuso per tre giorni prima della vigilia. Per me in quel tempo tutto era buono, tutto era ordinato ad un fine da una volontà superiore, perfino gli oggetti, la loro disposizione. Quando entravo nello studio di mio padre avevo la sensazione di entrare in un tempio sacro in cui tutto aveva un senso a me sconosciuto, misterioso. E poi quando andavo a scuola alle elementari passavo davanti a un albero di bergamotto che quando fruttificava emanava un profumo misterioso che mi dischiudeva un mondo sconosciuto, ma familiare.

Così era del vento, quando da adolescente andavo in montagna da solo e mi accoccolavo negli incavi della roccia ad ascoltare le lontananze da cui proveniva e mi si apriva la coscienza a spazi infiniti. O dell’acqua che, all’alba, quando i primi raggi primaverili scaldavano l’aria ancora fredda di alta montagna, brillava argentata mentre gorgogliava giù dalle pendici della montagna in cui si sciolgono le nevi.

La sfera dell’innocenza è quella in cui si sperimenta la comunicazione universale e la relazione di ogni cosa al tutto e il senso che da questa relazione deriva. In cui il senso delle cose non viene dal fatto che le usiamo (il valore d’uso) o dal fatto che le scambiamo (valore di scambio), ma dal fatto che esse sono una parte del tutto e concorrono all’ordine del tutto e che esse ci parlano di questo ordine, se solo ne sappiamo ascoltare la melodia.

Eppure da adolescente l’innocenza l’avevo perduta, mi sentivo separato, esiliato, esule, un viandante nel deserto senza direzione, errabondo. L’esperienza della libertà è stata per me l’esperienza della caduta: come dice Taubes “La libertà può disvelarsi solo come caduta”1. E così mi sono trovato nel labirinto del mondo ad errare. Mi ci è voluto molto tempo per rendermi conto che non avevo preso la strada sbagliata per una mia qualche mancanza, ma che l’errare fa parte dell’intima costituzione dell’essere umano. E come dice sempre Taubes: “Se però dell’errare, che domina il mondo, si fa esperienza in quanto tale, allora è sgombra la strada a non farsi sviare”2.

Così la domanda che mi porto da tempo è come ricordare e proteggere l’innocenza proprio dentro l’esperienza della separazione, dell’erranza e dell’esilio? Come tenere insieme ciò che si è spezzato? Come salvare l’innocenza in mezzo al turbine delle emozioni egoiche e meschine? Come restare fedele a me stesso, al mio impulso incarnatorio che mi ha portato sulla terra? Che cosa ci sto a fare qui se non per ritrovare l’innocenza perduta? Così capisco il detto evangelico «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”3.

L’idea d’infanzia e l’idea di innocenza sono la stessa cosa. Infatti l’infanzia rappresenta l’innocenza che da adulti ci appartiene, anche avendola perduta. Ed è dunque il bambino a riportarci lì dove dobbiamo tornare, questa volta coscientemente e intenzionalmente.

La pedagogia curativa è la via di questo ritorno. È la via per il nostro ritorno attraverso il bambino, è la via per salvare il bambino da ciò che lo ferisce e lo violenta.

Questa via richiede di essere percorsa consapevolmente e richiede il trascendimento di sé per l’altro. Richiede esercizio, ma non per diventare migliori, più in questo o in quello, ma per aprirci all’altro, al tutto, da cui viene il senso del nostro essere.

Questa via consiste nel diventare artisti dell’incontro o, se volete, nello sviluppare il senso superiore dell’io dell’altro. Nel non voler istruire, non voler educare, non voler migliorare, trasformare, curare, ma solo nel voler incontrare.

L’incontro è presenza, essere presenti l’uno all’altro. Non sottovalutate la potenza della presenza e dell’incontro. Dice Martin Buber:“Se sto di fronte a un uomo come di fronte al mio tu, se gli rivolgo la parola fondamentale io-tu, egli non è una cosa tra le cose e non è fatto di cose. Non è un lui o una lei, limitato da altri lui e lei, punto circoscritto dallo spazio e dal tempo nella rete del mondo; e neanche un modo di essere, sperimentabile, descrivibile, fascio leggero di qualità definite. Ma, senza prossimità e senza divisioni, egli è tu e riempie la volta del cielo”4. E la sola gioia che può risanare è quella di tale incontro.

L’idea di infanzia nella mia vita l’ho incontrata grazie a Henning Köhlere questo è il debito che ho nei suoi confronti e questa è la gioia che mi lega a lui di profonda amicizia e gratitudine. Di questa idea ne parla nel libro “Non esistono bambini difficili” in cui descrive i quattro gesti pedagogici fondamentali, che potremmo anche considerare come i quattro momenti dell’arte dell’incontro.

L’incontro con un bambino non è in primo luogo l’incontro con ciò che è diventato, ma primariamente l’incontro con ciò che esso vuole diventare: Henning Köhler parla del suo mistero, Steiner dello spirito in forma di germe, Aristotele dell’essere potenziale, Jung del Sé come totalità psichica, l’ebraismo esoterico dell’Adamo Kadmon, in ogni caso il bambino che abbiamo di fronte a noi è solo l’apparenza di un essere molto più grande che gli viene incontro dal futuro. Ora non siamo noi con le nostre conoscenze, con ciò che abbiamo studiato, che conosciamo il mistero ecc. ma è esso che si manifesta a noi, se ne siamo degni. Ciò che deve ancora essere conosciuto, ciò che è ancora avvolto dal mistero crea in noi la capacità di conoscerlo, ci visita come l’angelo visita Maria e ci feconda. Nell’ambito del mistero le relazioni sono rovesciate, è il futuro a causare il presente. È l’essere futuro del bambino che, se io saprò essere aperto all’altro, si manifesta a me creando in me le condizioni affinché io possa comprenderlo e cosi creerà le condizioni perché insieme possiamo compiere l’opera del suo inveramento.

Il primo gesto educativo consiste nel proteggere il bambino, non si tratta soltanto di una protezione esteriore dai pericoli derivanti dal vivere nel mondo, quanto piuttosto di fare spazio all’altro in sé, di sapersi prendere un tempo per l’altro, fare uno spazio di silenzio dentro di sé perché l’altro possa manifestarsi. Fare attenzione. Si tratta di educare lo sguardo, di mettersi in ascolto, presago di ciò che si annuncia dal futuro. Fare silenzio, avere dedizione al piccolo.

Il secondo passo consiste nell’accompagnare il bambino, il che significa dargli il tempo per manifestarsi, partecipare con interesse al suo divenire, senza costringerlo ad adeguarsi alle esigenze del tempo oggettivo del mondo esterno reificato. Significa essere una presenza paziente capace di attendere. Significa rimanere fedeli al mistero e al suo tempo di manifestazione.

Il terzo passo è quello di consolare il bambino. Nell’ambito del mistero ciò che consola non sono le risposte, ma la domanda: “Chi sei tu?” che consente al bambino di ricordarsi di sé. Henning Köhler sostiene che noi non dovremmo fare la domanda, ma essere la domanda. Essere aperti al tu al tal punto da attenderci la risposta dal tu, essere aperti alla sua manifestazione pieni di fiducia. È questo atto di fiducia a offrire la vera consolazione giacché esso presuppone che il bambino abbia diritto a essere com’è e che faccia un dono all’educatore quando si manifesta apertamente.

Il quarto passo è quello del prendersi cura del bambino. “Attenzione, interesse e fiducia dispiegano la loro forza curativa solo quando, e soltanto per il fatto che, il bambino incontra il bambino nella sfera del mistero”5.

Quando il bambino che è in noi incontra il bambino che ci è affidato siamo presenti l’uno all’altro e lì si “apre la volta del cielo” e quella gioia e solo quella gioia consola e guarisce.

Marcus Fingerle

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NOTE:

  1. Taubes,Escatologia occidentale,1991, pg 26
  2. ibid.
  3. Matteo 18,1-5
  4. Martin Buber, Il principio dialogico, Paoline, pg. 64
  5. Henning Köhler, Non esistono bambini difficili, pg. 101

Convegno d’autunno a Dornach, anche ONLINE

 

“Accoglienza, Risonanza, Comunità di Intenti
dalla IX conferenza del “Corso di Pedagogia Curativa” di Rudolf Steiner”

È alle porte il Convegno internazionale di Pedagogia Curativa e Socioterapia che si terrà a Dornach dal 7 al 9 ottobre 2021.

Dal 2013 nei piccoli convegni autunnali il lavoro di studio si è concentrato su una conferenza tratta dal “Corso di Pedagogia Curativa” di Rudolf Steiner.

Quest’anno il convegno si svilupperà intorno alla IX conferenza e si lavorerà liberamente a partire dai temi in essa presenti. Per preparare questo piccolo convegno un gruppo di giovani ha lavorato insieme al team del Council for Inclusive Social. Tutti i giovani che hanno cooperato offriranno anche il loro contributo durante il convegno.

Sarà possibile, come l’anno scorso, prendere parte al convegno anche online! Infatti, l’intero programma sarà accessibile tramite piattaforma “Zoom” o “Wonder”, con traduzione simultanea in inglese, tedesco, spagnolo e russo.

Clicca qui per effettuare la registrazione e partecipare in presenza:
https://www.goetheanum.org/en/acceptance-resonance-communities-of-choice

Clicca qui per effettuare la tua registrazione e partecipare Online:
https://inclusivesocial.org/en/product/autumn_conference_2021/

 

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